di Francesco Muzzioli
L’iniziativa di Esiste la ricerca ha preso avvio con l’incontro del 16 giugno 2022 presso lo Studio Campo Boario, a Roma, grazie all’ospitalità di Alberto D’Amico. È lì che si sono incontrati autori, critici, lettori, artisti, curiosi e semplici appassionati di letteratura e arte. L’obiettivo era ed è ancora oggi semplice: parlare della situazione presente della poesia e della letteratura in Italia e ragionare sulle diverse e pressoché opposte articolazioni che in tale contesto assumono invece le esperienze della sperimentazione e della ricerca. Un breve post si è incaricato, pochi giorni dopo, di constatare il successo dell’incontro:
https://slowforward.net/2022/06/21/post-esiste-la-ricerca-la-ricerca-esiste/.
D’ora in avanti, con il tag “Archivio” compariranno di tanto in tanto qui i testi e le eventuali registrazioni che dal giugno 2022 ad oggi si sono susseguiti in stretta connessione con gli incontri di ELR.
Il primo intervento riproposto è di Francesco Muzzioli, che lo pubblicava sul suo sito Critica integrale il 29 giugno 2022.
Fare attenzione alla parola “poesia”. Come niente quella parola si impanca con una iniziale maiuscola. Pensavate di pronunciarla in senso neutro, puramente tecnico (come versificazione, ovvero testo che va a capo) e invece no, viene recepita ormai in senso sostanziale, le antenne si tendono a captare il moto del sentimento, l’espressione intima, la lingua dell’anima, la purezza eterea e via sensocomuneggiando. Quante volte lo si sente dire? La poesia è un dono, ha a che fare con la grazia, con l’incantesimo, richiede un ascolto devoto per cogliere le sue sfumature, una ricezione nel raccoglimento e altre enunciazioni quasi tutte di sapore parareligioso.
Di fatto, la poesia è emarginata nel regno della comunicazione globale, è homeless senza casa (editrice), ma quella che resta in attività fattasi privata è essenzialmente del privato che finisce ad occuparsi, proprio del proprio privato – e si declina quindi consolatoria e compensativa. È l’“aura fritta”, come dice con calembour felice Felice Accame.
Non t’accorgi, ma solo a pronunciare la parola “poesia” sei subito risucchiato nel regno dello spirito, illusoriamente contrapposto a quello del capitale, sebbene lui, il capitale, si sia a sua volta spiritualizzato. Per precauzione, sarebbe opportuno aggiungere, prego, almeno una minima specifica; va bene che avanguardia è troppo impegnativo, che sperimentalismo sembra eccessivamente meccanico, si trovi un’altra forma, qualsiasi cosa, ma non si lasci mai la parola poesia da sola senza l’accompagno di un attributo che la definisca e la scinda; altrimenti fa danni, perché, per quanto vi sforziate di scrivere in modo abnorme e deviante, nell’insieme confuso uniforme, in quanto “poeti”, sarete sempre riassorbiti nel novero di un discorso da predisporsi a riceverlo con il passepartout dell’emozione – e buonanotte.
Come rimedio, si può seguire l’indicazione di Marco Giovenale e cominciare a discutere sulla “ricerca”, come si è fatto nella riunione Esiste la ricerca? (allo Studio Campo Boario, il 16/06/2022). In questo caso, in via cautelare, il termine “poesia” era stato prudentemente taciuto, almeno nel titolo). Si veda il sito dello stesso Giovenale, Slowforward, per seguire l’andamento di un dibattito che si spera continui proficuamente.
Intanto, un minimo consiglio: tre accorgimenti per evitare la confusione.
- Radicalità. Se vi sembrano naturali certe disposizioni, fatene a meno, andate al fondo e rovesciate lo standard, cercate se non il nuovo (che quello ormai nasce già vecchio nel periodico rinnovarsi della moda), ciò che incide, indispone, sconcerta. Sorpresa e straniamento siano le linee conduttrici della “ricerca”, che non s’acquieti e non s’inquadri in risultati prevedibili, come una semplice comparsa nel ventaglio dei prodotti possibili.
- Auto-antitesi. È l’indispensabile contraltare della libera creatività. La creatività non è mai libera, senso comune e ideologia sono precisamente le prime cose che vengono in mente. Servono contraccolpi, il testo deve lottare con se stesso. Rebora scrisse giustamente: “è in odio alla poesia che ho poetato”. L’auto-antitesi è la molla di una sicura dinamica del testo, l’assillo che non gli fa dormire sonni tranquilli, la voce dialogizzante che lo rende conflittualmente vivo.
- Intransigenza. Se la radicalità va raggiunta e non è mai certa altro che a posteriori, se l’auto-antitesi porta un po’ di sofferenza perché decostruisce ogni identità, l’intransigenza è la cosa più difficile. Non crediate, confesso che anch’io ho avuto i miei momenti, troppi, di indulgenza. Perché l’intransigenza costa: fa respingere gli inviti, rompe i rapporti di amicizia, conduce all’isolamento. Se la teoria la proclama necessaria, in pratica – oggi come oggi – è impossibile. Ma si può provare ad alzare poco poco l’asticella, senza pretendere di raggiungere il massimo. Propongo questo atteggiamento: quando ti invitano a una lettura di “poesia”, chiedi almeno di avere una sezione per la “poesia + x”, o se non altro una precisa indicazione di provenienza da “territorio non contaminato”. Cominciare con poco: nel frattempo tocca alla critica lavorare a sfaldare quel significato sostanziale di “poesia” e di “poetico”, ricondurlo alla tecnica e alle differenze di tendenza delle diverse tecniche versificatorie, anche diametralmente opposte. E torniamo all’inizio, alla divisione polemica del settore: insomma, alla tendenza alternativa.