In Esiste la ricerca17 Febbraio 20254 Minuti

Un testo di Andrea Inglese, da “Prati”

By MTM

Andrea Inglese

PRATO 201 (Coppia di viandanti, ciuffo secco di steli, gagliardetti)

da Prati
(Tic Edizioni, coll. UltraChapBook, 2025)

 

 

— Non vado da nessuna parte in questo budello psichico. — Ti sbagli: è solo velatura grigiastra sul mondo, effetto di comune melanconia. — Ci hanno addestrato per le cose, per l’inorganico, e la caccia, eventualmente, non per l’introspezione. — Siamo la testa e la croce di un identico essere: dagli occhi le figure entrano, dalla bocca le parole escono. — Al romanticismo dei rognoni, preferisco il realismo del pugno di ferro. — Non è con le dispute ideologiche che si riempie il panino, e ricorda la Ricerca. — Appunto! Da quale treno siamo scesi, se erano tutti fermi? — Devono fermarsi affinché tu scenda, il peggio viene dopo: loro partono di corsa e tu cammini adagio. — Chiediamo a quella famiglia sciagurata sul ciglio del torrente. — Non perdiamoci in conversari. La distanza non la ridurremo attraverso creanza o elemosine. — Guardiamo almeno dove mettiamo i piedi: il corpo ha le sue ragioni, ma non sono identiche alle mie. — I miei seni sarebbero magnifiche ragioni di fermarci a studiarli. Alla tua età non se ne sa ancora niente. — Un badile secco, è quello che mi basta. — Un capezzolo ti basterebbe per l’eternità, se non fosse il tuo. — Una macchina per stracciare le toghe e i mantelli, vale di più di una morbi­dezza di labbra. — Non dimentichiamo la Ricerca, abbiamo questo ricordo da portare avanti. — Ci hanno lungamente preparato, come fosse una missione sovrannaturale, ma l’esemplare che ho in mano sta seccandosi. — Stringi bene la paglietta tra le dita. — Non è quasi più verde. — Stringila e pensa a quando era fresca, inverdita, acerba, spinosa, brulicante, densa di venuzze, fogliuzze, verzure, rugiadine, api da fiore. — L’esemplare è paglioso ormai, va a ritroso nel giallo limone, nel coro spettrale delle pannocchie, dei girasoli folli, fra poco mi prende fuoco anche la mano. — Prato hanno detto, e prato sarà: per questo siamo nati, nel suo crepuscolo moriremo. — Basterebbe un orlo metonimico: un rastrello, la viscera di un topino sfondato da una lince. — Intanto piove, e sorgono ancora sogni. — Qui sei tu nella bolla filtrante; io mi sento pelle e ossa, vedo gli spigoli d’acciaio delle cose. I crateri lunari mi raschiano il respiro. — Un giorno di realismo, per sei giorni di romanticismo. Ma il prato non sarà né testa né croce, né lattuga né olmo, né foresta né pietraia, né toro divino né demoniaca cornacchia: il prato resta fuori, intermediario, mezzano, regno di transito. — Ora che l’ho trovato, possono venirmi a prendere. — Sediamoci un minuto almeno. — Ora che lo vedo, anche lo disconosco. — Butta via l’esemplare, scegli l’originale. — Ora che lo tengo, mi rendo conto che non ce n’è abbastanza. — Scaldati di fronte al prodigio: il prato resta nella sua forma, il concetto non ne esce manco di un pelo. — Ora che sono al limite, ho nostalgia di questa terra parassitata, di queste pelurie vegetali, di queste organizzazioni di steli e lembi morbidi. È il disuso che mi esaspera! — Ti daranno una diaria, e un piccolo gagliardetto del Ricercatore. Tutto è andato così veloce. Posso singhiozzare di felicità adesso. — Semplicemente siamo testimoni obbligati. Siamo venuti qui per dire: prato, bello, arioso, verdino, liberty. E di tutte le credenze avute, non mi resterà che un ciuffo d’erba da associare all’esemplare di paglia, e un gagliardetto da agitare durante le parate.