Due testi di Francesca Perinelli
Francesca Perinelli
Due inediti
santalucia
) un’interpretazione della domanda secondo te ha importanza, è assolutamente? sì. quale che sia la funzione o la fonte, addirittura esplicitata, dichiarata, l’eteronimia diventa una sorta di àncora. ti faccio un esempio. lui la chiama regolarmente, dicendo che la associa al fatto, quindi lei è una donna e, sia pure in maniera sinistra, c’è
una collana di piombi gettata a interrompere la notizia che in fondo al mare i pesci brucano gli occhi di persone non all’altezza della fine (la fine si pone come proposta di bassa lega tra le esplosioni e il funerale che prende tutto lo schermo della casa di riposo: gli anziani possono leggere la fine una sola sillaba alla volta ma non verrà servita né per pranzo, né per la soddisfazione dei rapporti. la fuga, di qua asfissiata nell’insalata di occhi di santa lucia, di qua uno scarabocchio impossibile, di qua neppure, però, è lì, dietro appena otto centimetri di foratino
chissà come fa a reggere tutta quella televisione
vi seppellirà
e se prima eravate in sei, eravate eccetera eccetera, poi dopo, adesso, così, mi sembra che. cantavate **** **** ma era un diversivo. percorsi idiosincratici associati allo spirito dimesso, come a dire: il nostro lavoro è questo, siamo a disposizione, eventualmente fateci sapere. ma nemmeno il panorama partiva da zero con quegli scarti di tradizione. un conto è recuperare un conto e un conto è poi, sono due cose che poi ognuno aveva un proprio punto di vista, o anche di meno. varie persone incrociandovi recitavano una frase sperimentale riesumando la dialettica barthesiana: c’è la scrittura, non c’è lo stile. cosa vuol dire, insomma? e se prima eravate come la lingua da parlare da qui in avanti, oggi siete delusi, non avete conservato un briciolo di affezione
adesso siete in cinque e cantate **** ****. è sicuro che non c’è un certo novecento in campo, non c’è spazio per il movimento embrionale sovrascritto, cristallizzato nelle vostre corde come materiale deperibile. non vi siete avvantaggiati del gruppo, non avete nemmeno un manifesto. la divergenza non è sfruttata appieno. bravo, grazie, e adesso siete in quattro
**** **** sono i padri putativi di una parentela becera, viene in mente una frase che circolava in quegli anni di deserto, ma ci sono ancora in giro troppe persone, troppe riviste, troppi siti, troppi discorsi critici presi per i capelli. non possiamo pronunciarla
tre, due uno. **** ****, di cosa stiamo parlando?
Testi di Francesco Scapecchi
Francesco Scapecchi
4 cut-up
(inediti)
cut-up #44
dall’essenza data di qualsiasi cosa seguono necessariamente certe cose:
dalla medicina impariamo che l’uomo si sviluppa nella maniera migliore quando può lavarsi a dovere ed esporsi convenientemente all’aria e al sole.
riguarda solitamente casi in cui lo stato perforatore è molto piccolo.
si può fare in modo che lascino tracce.
essi diventano diritti umanitari i diritti di coloro che non li possono attuare.
come se non bastasse la prima eccezione alle regole urbanistiche.
domando perché.
in una maniera o nell’altra abbiamo rubato.
non ce ne lamentiamo.
cut-up #48
ci sono degli angoli tenebrosi nella regola del fallo.
il portiere dopo una lunga attesa ha rinunciato all’attività eroica.
come il trasporto senza ruote.
cut-up #19
sta’ a sentire: telegrafò a cuba che era impossibilitato – mentre infuriava corse la punta azzurro chiaro che. sono ormai dispersi. di desiderio. pur rimanendo. sono sbigottito per il sangue freddo che sta dimostrando, signor primo ministro. comunque vada a finire per l’investimento, non si riesce a tornare indietro illesi. ancor che grave lor paresse parlavano non a bassa voce: il repertorio dei gesti è limitato, colore locale e profumo personale.
risvegliata da morti improvvise si lasciava travolgere, immaginare atlanti, aveva appena corso per duecento metri dentro un perimetro di luce attraversabile. è consolante come la contemplazione.
qualsiasi difetto anche è più gradevole.
questo avviene per lo più nell’amore.
cut-up #26
il sorriso arcaico divenuto immenso. dalla tua cara boccuccia egli ha fatto dei manifesti usando il tropo. casi in cui la lingua è molto piccola, deh!, cuor del corpo mio, gli eventi subatomici che si verificano, nel preconscio, ma di un, per esempio.
egli si era convertito. siccome il borghese non vuole e non deve essere un santo i quaccheri facevano così: vennero ordinati dei polli, la droga ingombrante, un panino al prosciutto accuratamente confezionato dio solo sa a quale prezzo. ci fecero dannare tutti quanti.
tutta la brutta vita prende piede negli anni ’90.

Pasquale Polidori risponde a 9 domande su/per Esiste la ricerca
di Xxx
Un ‘questionario’ unico viene proposto a diversi partecipanti a Esiste la ricerca. È lasciata la massima libertà nel rispondere (o non rispondere) via mp3, ma è richiesta una serie di condizioni in linea con la natura estemporanea di ELR: i vocali non devono essere ‘preparati’, letti, né (poi) editati, né in sostanza pensati come elementi di una ‘intervista’ calligrafica, bensì pronunciati al microfono e registrati così come nascono. Alle 9 domande che seguono risponde in voce Pasquale Polidori.
- Hai partecipato a ELR (quale dei 3 appuntamenti?): come ti è sembrato e che riscontro/parere dai dell’iniziativa?
- In sintesi come come definiresti gli appuntamenti di ELR?
- Quali i PRO?
- Quali i CONTRO?
- Pensi ci sia bisogno di incontrarsi dal vivo per parlare di ricerca nell’ambito delle scritture poetiche? E perché?
- In che modo una zona di riflessione e scambio come quella ipotizzata da ELR può essere utile alla tua scrittura? (E se lo è)
- Se ci fossero prossimi appuntamenti di ELR quali sono temi e argomenti che si potrebbero affrontare dal tuo punto di vista?
- Quanto è importante per te che esista un’ambito critico/confronto per ELR?
- Quanto è importante per te un confronto generazionale fra autori in ELR?
Testi di Carlo Sperduti
Carlo Sperduti
Due inediti
Domestiche
Inizia con un piatto. La spugna, dalla circonferenza, centripeta di schiuma.
Un suono elettronico a distrarre, la presa allentata. Il piatto sul cotto esagonale e le mani in frantumi.
Continua a gocciare porcellana, a sporcare il piatto, il cotto intorno, i polsi interrotti scogliere da cui precipita il finora.
Sciogliere.
Il cane dal trauma infantile.
Rimasto da solo nel giardino della villa per un mese, una vecchina a portargli da mangiare, senza contatto, due volte al giorno. È diventato aggressivo.
Quando il ragazzo rientra di notte, quando infila la chiave nella toppa del cancelletto pedonale, di fianco al carrabile, il mezzo giro attiva il cane che gli corre incontro ringhiando, puntando coi denti ai polpacci.
Gioca a sbranare. Il ragazzo gioca ai calci in pancia. Qualche buco nella carne, qualche risuono nella gabbia toracica del cane.
Rientrare lottare.
Se dall’interno apre la porta sul giardino si trova nel giardino. L’ansimare del cane, ancora rientrare.
I moncherini del padre aguzzi, da limare, depilare le stoviglie.
Rispondere ricerche.
Confinandolo nel giardino di sotto, reti a impedire le scale, l’inquinamento acustico del cane sopravanza il disagio dei suoi attacchi. Gli si restituisce il libero accesso a ogni area attorno alla villa.
Arriva l’inverno, ci si rifugia nel camino dando fuoco al tinello.
Vivere continuare.
Il ragazzo dal cancelletto s’avventa sul cane che scalcia, punta alla gola, gioca alla lotta. Riesce ad azzannarlo, continua, lo mangia finché può. Ne lascia a terra più della metà. Non lo porta in casa, non lo conserva in frigo, non lo cucina.
Rientrare sprecare, tutto da pulire.
Insolvenza
Ancora grattacieli spontanei in giardino: li puoi osservare dalla finestra della cucina, mentre lavi i piatti, le spalle al tavolo e al tagliere: un quadretto, se una camera ti riprendesse da dietro, con questa luce tenue e il sole di taglio, calante, le sponde sulle vetrate tra i gambi degli edifici, i tronchi che quasi s’ingrossano a vista d’occhio.
I microbombardamenti vanno diradandosi come da annuncio postale: s’interromperanno per debito, sicché il giardino non viene mai liberato del tutto e anzi andrà peggiorando fino alla saturazione: solo qualche crollo o piccola catena di abbattimenti, timide azioni a contenere, personaggetti precipitanti da piani a due o tre zeri, minime poltiglie fra gli steli delle rovine che non bastano neppure a fare melma, non segnano il tempo. Ecco che ne spunta un altro: un cucciolo di storage building tutto orizzontalità, sperso tra afflati gotici che non gli appartengono.
Dalla cantina incominciano i tonfi: prevedi nuovi lividi alle pareti ma non hai le giuste corde in gola per sgridare l’avvocato Ferretti, incatenato sbaglio sotterra. D’altra parte Ferretti non possiede energie bastanti a ferire davvero la casa, a tentare di essere partorito: segregato si autosfianca e tutto quel che puoi fare è mantenerlo in previta tra un cliente e l’altro per non incorrere in sanzioni.
Da un eliporto a ovest va coprendo il giardino per avvicinamento un velivolo da cui Goliarda si lascia cadere centrando la serratura, mentre la visione torna: ultimi giorni di campo largo. Bisogna impedire a Goliarda il suo tic boccale, quel suo spalancamento risucchiante che ha già divelto quattro imposte e un sanitario: le lanci una mano in bocca, appena in tempo: quella si chiude a tacerla e l’altra continua al lavello.
Quando l’uomo soglia entra nell’inquadratura vorresti svegliarti ma l’hai già fatto, casa causa pausa paura.

Testi di Giulio Marzaioli
Giulio Marzaioli
da Un giorno
(inedito)
Alle volte accade che uno dei due corpi si trovi senza orientamento all’interno dello spazio notturno. Laddove confidava che permanessero come punti cardinali una gamba o il piede del corpo altrui, trova invece un cuscino, il lembo di una coperta, la superficie liscia di un lenzuolo. Evidentemente il sonno ha consentito che non fosse rispettato l’accordo di affidarsi alla notte, purché assieme. La scoperta dell’altro corpo rannicchiato al lato estremo del materasso interrompe il flusso dei minimi eventi notturni (il passaggio di un’auto, un cane che abbaia dal giardino del palazzo di fronte, il bagliore di un lampione che muta di intensità). Qualora tali eventi continuino ad accadere, essi non trovano comunque echi o riflessi all’interno della stanza. Occorre che i due corpi riprendano un contatto perché gli eventi tornino a circolare.
*
Quando la stanza non è sufficientemente convessa per trattenere il sonno o quantomeno la distrazione di un risveglio, la percezione viene dislocata laddove qualcosa di più emergente accade, ad esempio su piano strada. In questo caso non è tanto il passaggio di un’auto o di una moto che ci trattiene, e d’altronde non potrebbe essere altrimenti, data la fugacità di quei transiti. Magari è l’albero su cui molti hanno svuotato la vescica e anche adesso qualcuno approfitta e viene sublimato soltanto l’effetto sonoro di uno scorrimento; neanche la strada si scompone, confidando nella pioggia. Oppure il rovistio sommesso di un gatto tra i sacchi della spazzatura lasciati a terra o ancora una busta vuota mossa da raffiche di vento che delinea nello spettro delle frequenze notturne ogni inizio del suo moto e ogni ricaduta a terra. Sono campi gravitazionali che rischiano di piegare le pareti della stanza e far scivolare tutto nella loro temporanea centralità, se non fosse per l’estremità di un piede che, inconsapevolmente improvviso e delicato allo stesso tempo, sfiora una gamba del corpo altrui. Il perimetro è ridefinito, siamo ancora dentro la stanza.
