Stefania Zampiga: "adesso"

In Esiste la ricerca29 Gennaio 20255 Minuti

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Stefania Zampiga

adesso

 

il tempo sta dentro una malattia e non ne esce
Christophe Tarkos

 

un punto dalla lente scura
cerca con filtri quanto vede
indietro e avanti un tasto
senza scostare i palmi batte
dalla base non carta davanti
bianco schermo aereo
e fresatrice ronzano
pausa rumore a spirale
come
vampata di gas
infuocante clacson
orologio
vampate clacson
cinguettii.

parola segue qui.

qui comincia

comincia qui parola,
‘perché’. come, pulsante.
nella non successione
un cielo. pensiero.
che è, di traccia quasi niente
domanda si sa.
della non successione
una zona di nulla
con quel punto non deve,
può stare.

intervalli, queste fasi
in sospeso

gli errori dove errare dovrebbero
sempre.

una risposta, potevano:

innescano perché
ignorano perché
inaspriscono perché
insistono perché
mentono perché
moltiplicano perché
non si fermano perché
si allargano perché
si rinforzano perché

ma, appena a malapena, minimamente, si sa, la gente a fatica, quasi affatto, o troppo, in troppi, lunghi, rivoli reiterazioni circonvoluzioni dislocazioni
vortici, voci rauche, guaste, quasi le conversazioni

‘perché’ comincia nell’inverso
a sprofondare un grumo
indistricato di tutte
impellenti
domande di sfere
vicino-lontane, svariate,
diverse, opposte mutevoli
contraddittorie stratificate
(provengono da ogni parte)
si gonfia,
sale.
qualcosa come

(nasce nel XIII secolo da “per che”, sottinteso “motivo”) per che motivo, movente, con quale motivazione, quale ragione, cagione, causa, capriccio, cinismo, torto, scopo, fine. come mai, come

 

un colle monte cima picco catena di cime

vivendole molto dall’interno, come da un’esplosione intima

il volume (the person(a) is immaterial, tempi, modi)

 

perché innesca-no?
perché ignora-vi?
perché inaspri-amo?
perché insistere-bbe?
perché menti-ranno?
perché moltiplica-ste?
perché

……

perché

 

* * *

 

 

…uno stato di forza. Forza: (qualsiasi) causa capace di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo … Nella fisica delle particelle elementari, il termine è usato spesso come sinon. di interazione. Di cose astratte, in quanto esercitino una costrizione:

 

li/le lə vedi

fuoridentrodentrofuori. altro

(a, rispondere)
please

nei modi, nelle forme, maniere, accenni, versi

prova

airone, albatros,  alca, alce, anaconda, anatra, anguilla, aquila, ape, armadillo, asino, avvoltoio, balena, bisonte, blatta, boa, bufalo, calabrone, cammello, camoscio, canarino, canguro, cane, capra, capriolo, cardellino, castoro, cavallo, cavalluccio marino, cervo, cervo volante, cicala, cicogna, cigno, cimice, cinghiale, civetta, coccinella, coccodrillo, colibrì, colomba, coniglio, corallo, corvo, criceto, cuculo, daino, delfino, dodo, donnola, dromedario, elefante, emù, ermellino, farfalla, fagiano, faina, falco, fenicottero, foca, formica, fringuello, furetto, gabbiano, gazza ladra, geco, ghiro, giraffa, gufo, ippopotamo, istrice, lama, lemming, leone, lepre, libellula, lince, lombrico, lontra, lucciola, lucertola, lumaca, lupo, maiale, manta, mantide, merlo, mitilo, montone, mosca, moscerino, mulo, murena, narvalo, oca, orca, ornitorinco, orso, paguro, passero, pavone, pecora, pellicano, pettirosso, picchio, piccione, pidocchio, pipistrello, pitone, pollo, polpo, pulce, pulcino, puma, puzzola, ragno, ramarro, rana, renna, riccio, rinoceronte, rondine, rospo, quaglia, salamandra, salmone, scimmia, scoiattolo, scorpione, spugna, squalo, stambecco, struzzo, tacchino, talpa, tarlo, tarma, tartaruga, tasso, testuggine, tigre, topo, tortora, tracina, tricheco, usignolo, verme, vespa, vipera, visone, volpe, zanzara, zebra, zecca.

si entra passando da questo minuscolo foro, una perforazione

non si sa dove, da non si sa dove, verso dove non si sa

anche le virgole, i caratteri, revisioni, elimina, disegno, lettere, riferimenti, giustificato

 

Il destino continua a spingere

della carne in questo caso, gli strati. l’involucro

…progressivamente lo spazio, vitale. sociale e personale. e. quello intimo. (di 20-50, cm. dicono). il respiro.

come, pinbody. da subito solo ossa. il corpo (prova tu a prescindere).

Quello che è sicuro è che dalla manipolazione possono derivare dei fenomeni strani.

Forse è per via della guerra
cieca, cellulare, centro
muto, mutante

Renata Morresi

progetta-no/re: esplosione telecomandata, la scissione atomica, l’incendio.

dall’umore acqueo dell’occhio
un’iride a fuoco di pigmenti neri
la camera anteriore scherma

 

                                                                                                         quanto vuoi che siano senzienti le vongole
Lorenzo Mari


Inediti di Chiara Serani

In Esiste la ricerca20 Gennaio 20251 Minuto

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Tre inediti di Andrea Piccinelli

In Esiste la ricerca13 Gennaio 20254 Minuti

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Andrea Piccinelli

Tre inediti

 

Una busta, un involucro di vario formato (o custodia di carta robusta), accanto a una lettera, segno grafico rappresentante un suono, lo spostamento di particelle provenienti da un oggetto, lo scopo di un comportamento, il modo di agire, esercitare un’influenza, malattia acuta e contagiosa, trasmessa mediante contatto, l’accostamento, l’aderenza, l’unione di due insiemi composti da diversi elementi, i rudimenti di una materia che occupa uno spazio, un ambiente circoscritto in cui si svolgono dei fatti che hanno consistenza reale, un’esistenza effettiva, che produce un effetto, un’impressione originata da una causa, il motivo per il quale compare una fessura in un muro che si frantuma, accanto a un palazzo in decomposizione, un complesso che si disfa nelle forme più semplici, privo di elementi pretenziosi, caratterizzati dall’ambizione di ostentare il proprio valore, la misura delle doti morali e intellettuali, le cognizioni acquisite con l’ausilio della mente, l’insieme delle attività riferite al pensiero, un’opinione sull’effetto incerto e preoccupante accanto a una pagina strappata che svanisce, che si attenua, che non esiste, essendo un ponte sospeso tra una strada vuota e un passaggio che è già andato, guasto, ridotto in condizioni non buone dall’azione di insetti e parassiti, che si nutrono sfruttando altri organismi, che vivono senza lavorare, senza essere in azione, senza agire sulle componenti ossee del corpo

 

*

 

Qualcosa di completo, privo di elementi mancanti, che non sono presenti o sono assenti, rivolti altrove con lo sguardo, la vista di una guida e una struttura mancanti di qualcosa che ci si aspetta, il desiderio che qualcosa succeda senza che nulla cambi il passo, il movimento degli arti, le appendici, le parti accessorie, marginali, le glosse segnate sul margine di un foglio, un pezzo di carta rettangolare con tutti gli angoli interni retti, conformi a una regola, una norma da seguire in un contesto, l’ambiente nel quale un organismo si muove e cresce e si sviluppa, ha un incremento, un aumento della prosperità, il rigoglioso sviluppo, l’accrescimento progressivo della produzione industriale, che genera beni e servizi, lavori svolti dietro compenso, un corrispettivo, che si riceve in cambio, la sostituzione di un oggetto con un altro, diverso, con qualità dissimili da quelle di un altro soggetto, sottoposto all’occupazione straniera, di elementi estranei, non conosciuti, di una regione ignota, di cui nessuno sa nulla, senza importanza (di poco conto, o che non esiste)

 

*

 

Galleggia sulla superficie, una forma geometrica senza spessore, ad esempio una lamina molto sottile, acuta e leggera, di poca importanza, che ha grande rilievo, che risalta rispetto a un fondo, un appezzamento di terreno, un tratto più o meno esteso di terra, il suolo pubblico, che è aperto a tutti, all’intera quantità di residenti, i giudici contrapposti agli astanti, che stanno accanto, vicino a una foto che non ricorda, a un ricordo che non resta, che si trattiene circondato da linee che si incrociano e traccie accavallate, sovrapposte a una coltre sterile, incapace di concepire, di immaginare le dinamiche essenziali, i meccanismi indispensabili, di cui non si può fare a meno, in minore quantità, un grande numero di corpi che resistono, che sopportano le forze avverse, che stanno di fronte alla facciata di un edificio, un’abitazione costruita come riparo, a difesa contro le intemperie, ad esempio le perturbazioni atmosferiche, che hanno luogo nell’atmosfera, l’involucro gassoso che circonda un pianeta, un corpo celeste che orbita intorno a una stella, un astro che brilla di luce propria, che gli appartiene, è sua


Un testo di Damiano Torre

In Esiste la ricerca7 Gennaio 20257 Minuti

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Damiano Torre

Slalom

 

Tutto torna, anche i prossimi
quarantanovemila anni.

 

 

Dice il Samurai che è da stolti cercare di evitare ciò che si è diventati.
E gli errori?
Te li portano al tavolino insieme al conto,
in uno di quei pomeriggi dove stare seduti a un tavolino è magnifico.
E i ricordi?
Si ripresentano più rarefatti.
Pellicola vecchia, immagini traballanti, audio che va e viene.

 

 

Quando sento parlare di traffico mi viene in mente il traffico.
Parlarne è superfluo.
Poi mi rendo conto di essere un pessimista.
Un ottimista saprebbe trasformare il superfluo in super-fluo.
E col super-fluo potrebbe sottolineare anche queste stronzate.

 

«In fondo…» mi diceva un amico ottimista
(divenuto, a furia di trasformare aggettivi e sottolineare stronzate, anch’egli pessimista)
«… basterebbe poco. È che in pochi trasudano amore.
Lo vedi da come ti fanno un gelato o riparano un carburatore.»

 

 

Alcuni a mani nude combattono la normalità.
Altri se ne stanno appollaiati ad alimentare il lamento collettivo.
Stracarichi di armi.

 

 

Se questo è il dentro aspetto fuori.

 

 

«Ehi, Johana, ho avuto un’idea!
Non sarebbe incredibilmente bello
se tu e io un giorno aprissimo una trattoria macrobiotica?»

 

 

«Johana, se un giorno io e te aprissimo una trattoria macrobiotica,
potremmo finalmente lasciarci in pace.»

 

 

Ieri mi sono avvicinato al mio Maestro mentre meditava.
Gli ho toccato la spalla e gli ho detto:
«Maestro, che ne pensi se un domani avviassi una trattoria macrobiotica?»
Il Maestro ha aperto un occhio e mi ha detto:
«Muori ora, se puoi.»

 

 

Qualche tempo dopo in treno incontro una psicoterapeuta.
Parliamo della vita. A un certo punto dice: «Deve andarci in Isvizzera.»
Provo lo stesso fastidio di quando sento hanno sposato o leggo vendonsi.
Mi rattristo e guardo fuori.
È tutto nero perché il treno attraversa una galleria.
Mi rigiro e la psicoterapeuta insiste: «Mi creda, ci vada in Isvizzera!»
Quindi si alza.
Salutandola penso: «Non ci andrò mai in Isvizzera.»
Appoggio di nuovo la testa sul finestrino.
Guardo fuori. Siamo già a Zurigo.

 

 

Perciò vado all’ufficio attività produttive.
Mi reco allo sportello.
Di fronte a me un’impiegata anziana.
Una di quelle della Roma di una volta. Una che fuma anche senza sigarette.
Legge velocemente. Alza lo sguardo al di sopra alla stecca degli occhiali a mezza luna,
mi guarda e timbra il foglio.
«Torni tra quindici giorni.»
«Grazie.»
Mi guarda di nuovo: «Ma la sana cucina romana di una volta che fine ha fatto?»
La guardo stupefatto. Conosce ancora il significato di sano?
Sorrido e ringraziando nuovamente esco.

 

 

È che a un certo punto inizio a svalvolare di brutto con la ricerca dell’hobby giusto.
Nel giro di tre mesi passo dal corso di moldavo a quello di scimitarra.
Poi dalla scimitarra alla frusta romagnola, sino al vasaio in terracotta.
E ora eccomi qui, con te, al corso di cucina macrobiotica.
Alla fine è per te.
Avrò speso mille euro tra iscrizioni e materiale, per te.
E ho la casa piena di attrezzi inutili, per te.
Ecco perché ti risulto risoluto.

 

 

«Mi sa che è un po’ prematuro», dici sulla porta.
«No, Johana», ti rispondo in ascensore.
«È il caso a un certo punto di fissare dei paletti»,continuo nell’androne.
«Che antipatia ’sti paletti», concludi per strada.

 

 

«Il suo progetto ci interessa, ma non possiamo sostenerla nel lungo periodo.
Potremmo ipotizzare una soluzione a rapido rientro.
Un annetto e mezzo pensa di farcela?»
«Ci posso provare.»
«Bene, allora, affare fatto!»
«Sì, ma se poi le cose non dovessero andare?»
«Nessun problema. Ci prendiamo i suoi sogni.»

 

 

Vedo che mentre ti parlo annuisci pensando profondamente a tutt’altro.

 

 

Com’è largo il fiume.
Porta tutto con sé.
Guardando il fiume non ho ricordi.
Il vento sferza le foglie argentate dei vecchi platani che stancamente si affacciano sulle sponde.
Mi piace inseguire le traiettorie delle cose animate e inanimate che il fiume porta con sé.
Un gigantesco roboante serpente grigio.

 

 

È che spesso ci siamo dimenticati di fare piano.

 

 

Ogni tanto penso a S. Pietro con tutti quei mazzi di chiavi.
Immagino Dio che sorridendo ai commensali gli dà una voce:
«A Pie’, tutto ’sto tempo pe’n barattolino de senape e daje!»
E lui tintinnando dal tinello:
«Eh certo, te pare facile, trovala tu la chiave della dispensa.»

 

 

A proposito, ecco le chiavi della trattoria macrobiotica, Johana.
Anche se avremmo bisogno di normalità.
E di una sana cucina romana.
Perché sbagliare è sano. Ricordalo.
Altrimenti ti impiattano.

 

 

Si vede in lontananza una striscia argentata.
L’erba è morbida. Più cammini, meno fatichi.
La striscia è ora più nitida.
È un fiume.
Dovresti vedere i colori.
Se decidi di cambiare le tovaglie della trattoria macrobiotica (o anche il menu), ricordati di questi accostamenti.

 

 

Si sta bene qui,
sembra la Svizzera.

 

 


Nota

Slalom era già uscito sul blog ‘Multiperso’, a cura di Carlo Sperduti, e poi nell’antologia L’ordine sostituito (déclic edizioni, 2024). Damiano Torre è scomparso all’inizio di questo 2025.


Chiusura natalizia

In News17 Dicembre 20241 Minuto

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Le biglietterie di Manifatture Teatrali Milanesi
presso il Teatro Litta e il Teatro Leonardo
sono chiuse per feste dal 23 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025.
Riapriranno martedì 7 gennaio 2025 nei consueti orari.

Lo staff di Manifatture Teatrali Milanesi
augura buone feste e felice anno nuovo!


Marco Mazzi: annotazioni su “Casino Conolly”, di Mariangela Guatteri

In Esiste la ricerca16 Dicembre 20245 Minuti

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Marco Mazzi: La scrittura come forma di arte concettuale. (Annotazioni su “Casino Conolly”, di Mariangela Guatteri)*

 

Vorrei affrontare il discorso su Casino Conolly** con la consapevolezza di quello che è successo e sta succedendo nelle arti visive, nell’arte concettuale; ora forse la scrittura è l’unica forma di arte concettuale che sta in piedi. Si parla molto di minimalismo e spesso anche a sproposito, come ad esempio vedo nel mondo del cinema: appena arriva un film che minimalista non è, magari è solo un po’ più asciutto nel budget, o la trama è un po’ più sussurrata… come si parla dell’ultimo film di Wenders, bellissimo film che però minimalista a mio parere non è.

Ascoltando la lettura del tuo testo***, ancor più che leggerlo, mi sembra un lavoro davvero minimale, e non perché dispone poca materia, ma perché non ha niente di troppo; c’è una densità di informazioni che non è offuscata da un impianto e da una retorica invadente, inutile, superflua. Mi rendo conto, ascoltando queste tue letture con inserti di commento, che il tuo lavoro non ha solo quell’aspetto strutturale che, inizialmente, mi aveva catturato di più leggendo sulle pagine. Ora mi rendo conto che, dopo quest’esperienza di ascolto, il  libro può essere pensato come esperienza perché è ricco di informazioni culturali, storiche… c’è un’erudizione – mi verrebbe da dire – che però va nella direzione dell’informazione, cioè mi porta ad essere effettivamente informato di cose che di fatto non conosco e, anche per questo, il libro pare avere una funzione quasi manualistica.

Penso al manuale diagnostico, al manuale della clinica, della psichiatria, della medicina; manuale come anima, talvolta anche un po’ discutibile, di una disciplina, dell’applicazione di regole, di protocolli. A me sembra che questa funzione informativa che è propria del manuale, sia stata quasi sublimata in un lavoro di riscrittura concettuale di tutto questo.

Ascoltando la registrazione, che mi è sembrata quasi una performance,  avevo proprio l’impressione della reinvenzione di un manuale, cioè come se il libro avesse anche la capacità di reinventare, contestualizzare e contestare quella che è la freddezza, la distanza dei manuali. I manuali ci sono anche in un macello, si portano gli animali al macello e ci sono dei protocolli… il manuale c’è per molte situazioni e ha la funzione di istruire e, spesso, anche perversa, di estraniare. Ho questa sensazione… credo che ci siano tante sfumature in questo libro e vengono fuori dalla lettura registrata. Per mia inclinazione e perché abituato a lavorare con mezzi che non prevedono necessariamente una lettura su pagina, preferisco ascoltare i testi letti ad alta voce perché mi consente di cogliere più sfumature e dettagli.

Questa “giusta causa” minimalista-concettuale, il mio chiamare in causa il minimalismo in modo appropriato, viene da questa attenta meditazione sull’informazione che la rende problematica: cos’è l’informazione? come ci si rapporta a un “materiale umano” attraverso una serie di istruzioni, di griglie, di linee, di perimetri? Mi sembra che la forma, la funzione del manuale sia stata ripensata, attualizzata, rivitalizzata e, soprattutto, politicizzata. È stata contestualizzata nel suo statuto politico, spesso molto problematico.

Oggi abbiamo il diaframma temporale di quello che è successo nei manicomi, abbiamo una distanza, siamo un’altra società; ma credo che quello che una volta era relegato alle mura manicomiali, oggi lo si ritrova in altri settori che noi, forse ingenuamente, consideriamo “settori liberi”; c’è un’omologazione, c’è una volontà di strutturare le relazioni e i comportamenti umani in un modo non tanto lontano da certi protocolli inquietanti della detenzione. Ci ritrovo anche un po’ il discorso di Foucault… tutto questo a me è piaciuto molto e penso che ci siano delle sfumature, nella registrazione, che arricchiscono la lettura.

 


* Il testo è la trascrizione riadattata di un vocale inviato da Marco Mazzi a Mariangela Guatteri il 6 novembre 2024.
** Mariangela Guatteri, Casino Conolly, edizioni del verri, Milano, 2024. ISBN 9788898514854.
*** Si riferisce al una registrazione realizzata da Mariangela Guatteri per «Sonde poetiche», a cura di Andrea Inglese e Gianluca Codeghini, trasmessa da Radioarte.it il 21/11/2024.


Tre testi di Marilina Ciaco

In Esiste la ricerca2 Dicembre 20242 Minuti

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Marilina Ciaco

Tre testi da Gli anni del disincanto

 

Primo doppio

ho incontrato troppo tardi le persone per poterle amare
ho incontrato troppo tardi le persone per poterle non amare

arriva un giorno, è tardi
le persone sono arrivate e così se ne vanno
uno dice non me l’aspettavo
l’altro dice c’era da aspettarsi

tempo impiegato per: quello che non sono
altro tempo per: la vita da immaginare
la storia di una vita è una storia delle grammatiche
quelle che impari e quelle di cui non sai liberarti

*

Secondo doppio

come serpenti che si mordono la coda
siamo stanchi per strisciare
disponiamo le ossa in cubi perfetti
al piano interrato della prossima casa
adesso la casa è aperta, in casa non c’è nessuno
diventa chi sei: cannibale o ghiaia

si logora negli anni, s’ischeletrisce
si disfa, s’incista, più spesso ricompone
la maschera diurna che ci rende mansueti
oggi ho visto di nuovo la luce tagliarti in due
non ho più molte cose da dire
questa testa è abitata da un numero imprecisato di mosche
nel sogno eravamo assediati da androidi che ci somigliano
ci stavano di fronte, a ciascuno il suo

qual è il tuo desiderio più grande?

*

Terzo doppio

mi sono svegliata bella come una carcassa
che le mosche ti ronzano intorno ma perché sei morta
se eri viva se ne stavano bene alla larga
delle porte ho sempre apprezzato
il neon verde della scritta: uscita di sicurezza
tra le altre cose da una carcassa
non si genera niente se non si sfascia
mi sveglio bella come un portamonete
come una sagoma di carta
quando hanno visto la terrazza al nono piano
hanno detto soltanto: è molto alto qui
le mosche non sono di questo parere
saranno loro a indicare il posto
sopra o sotto


Un testo di Fabrizio Venerandi

In Esiste la ricerca27 Novembre 20247 Minuti

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Fabrizio Venerandi

da Blocchi

 

Io ho una specie di lingua dentro alla testa, non so se c’è sempre stata, ma in questo ultimo periodo è diventata sempre più grossa e umida. Questa lingua parla, continuamente, parla, mi dice le cose che sto pensando e poi inizia a dettarmi le cose che devo scrivere mentre me le detta capisco che quella lingua non sono io.

Quella lingua mi detta le cose che sto pensando e io, che sono una cosa diversa, prendo e trascrivo. È come un muscolo aggiuntivo dentro alla testa con cui convivo e che anche adesso mi sta dicendo cosa scrivere, non ha pudore di parlare di sé.

Non sempre mi detta, a volte parla e basta. Inizia a interpretare le cose che devo dire, si immagina scene di cose che devono succedere e – senza che io me ne renda conto – fa queste rappresentazioni teatrali di miei possibili futuri, popola stanze di personaggi, anche loro parlano con la sua lingua, e io inizio a parlare con la sua lingua.

Le scene si moltiplicano, si ripetono, si aggiustano, vengono perfezionate, crollano sotto il peso della lingua che di queste cose si nutre, più crea materiali con la sua voce, più divora l’attenzione del mio cervello, più ingrassa e crea ancora nuove voci, nuovi discorsi, nuove messinscene.

Io non ho controllo su questa lingua, non so se sia sempre stato così, ma ora mi rendo conto che non posso farla smettere. È sufficiente che io mi distragga per un attimo, che smetta di sorvegliarla, e quella lingua riprende a parlare, a fare uscire – dentro di me – le sue voci. Quando me ne rendo conto ormai è troppo tardi, ho la testa piena di gente che parla, futuri possibili o, più raramente, riscritture grottesche del passato.

Qualche giorno fa ero in moto e mi sono reso conto che stavo guidando ma dentro la mia testa la lingua era frenetica, stava producendo un rumore infernale di possibili parole, di sintassi e allora ho urlato, “volete stare zitte maledette voci!”. Mi sono spaventato, per un attimo la lingua non si è mossa.

È stata un po’ un’epifania, un’agnizione: avevo una lingua nella testa e non ero io. La lingua era rimasta scossa, era dispiaciuta. La lingua, lo so, fa così perché pensa di aiutarmi. Pensa che muoversi nella mia testa, costruire i miei possibili futuri con le mie parole, sia un modo per dominare l’incertezza.

Per darmi sicurezza la mia lingua sta raccontandomi quello che mi deve ancora succedere, in modo che io sia pronto e possa allenarmi, ma la mia lingua sa anche che tutte quelle parole sono solo un racconto, non sono quello che dirò veramente: i sosia delle persone reali che popolano la mia testa e che la lingua fa parlare non sono addomesticabili.

Per questo la lingua torna indietro, immagina percorsi diversi, possibili variazioni e le racconta di nuovo, incessantemente.

Ingrassa giorno dopo giorno, non smette mai di parlare, detta a me che sono una forma sempre più incorporea e muta, sono lì a cercare di vedere cosa mi circonda in quel momento, ad evitare i fantasmi dello storytelling morboso che quell’organo geniale e logorroico continua a secernere come una glassa ammorbante ed incandescente.

La sua voce è ininterrotta e ha una sua coerenza, le sue biforcazioni e le sue allucinazioni seguono una logica malata. Quando mi detta io scrivo e cerco di fare emergere la seconda voce, quello che sono io. La parte del mio corpo che non è più la lingua che tengo nella testa. Seziono quello che la lingua dice. Come se lo mettessi su un tavolo. Alzo il braccio e lo abbasso con forza, stacco.

I pezzi di narrazione si contorcono, sono come feriti, ma affascinati da questa nuova loro forma. Prendo pezzi diversi, li accosto. Tiro fuori cose che non sento. Che non sono successe e che non succederanno. Respiro. Avvicino a questo biascicare della lingua cose che la lingua non ha detto. Infilo dentro cose che hanno una loro vita autonoma. Sono brandelli di letteratura. La luna è un grave che non vedo, ora, sopra la massa delle nuvole.

Mi allontano da me e da quella lingua che vorrebbe continuare a inventare. Non mi chiedo chi sono io, non ci sono mai arrivato. So che lei non sono io. So che posso produrre cose che non sono lei. Chi ti sta raccontando questa frase che hai sotto agli occhi. Il narratore. Il suo muscolo nascosto nella testa che si scalda, si bagna tutto. Che cosa ti sto raccontando.

Tante lingue fanno rumore, nella testa delle persone. Cosa fa lo sciame, ronza. Viene ronzato. Lo sciame si muove, le loro lingue, dentro, si muovono interrottamente. Raccontano il loro ronzare, il loro muoversi, le lingue raccontano la consistenza dei loro muscoli, da dove vengono, chi sono state prima.

Il grande racconto familiare allaccia la generazione precedente a questa, i padri ai figli, le madri ai figli, le femmine tra di loro come una ragnatela che arriva poi fino a noi. Sparizione dell’autore all’interno del racconto, riapparire dell’autore, ecco ora sparisce di nuovo. Millenni di letteratura e lo scrittore non ha trovato niente di meglio che giocare a nascondino.

[…]