Marco Giovenale, Notille personali, conversevoli colloquiali, su Esiste la ricerca 4, Napoli (6-7 sett. 2024)
Marco Giovenale
Notille personali, conversevoli colloquiali, su Esiste la ricerca 4, Napoli (6-7 settembre 2024)
Premessa: questa sequenza di discorsi riportati riscritti parzialmente (e senza nomi) funziona e ‘gira’ – devo di malavoglia osservare – se incastrata in osservazioni personali e interpolazioni di cui devo giocoforza dirmi soggetto. Per fortuna non tutto è discorso, ma molto – se non tutto – eccedenza in forma di frammento e dubbio. La cosa sarà meglio visibile verso la seconda metà dello scritto, dove la rarefazione degli appunti costringerà il flusso a spezzettarsi in piccole o minime canaline quasi completamente separate le une dalle altre, ciascuna introdotta da un segno “>”
6 settembre
Carta o no
Si è parlato non poco delle forme alternative al libro di carta, anche in ordine al nodo struttura / diffusione / distribuzione. Una di queste forme può essere il videogioco, per esempio, un’altra il gioco da tavolo, o ancora l’oggetto da montare – come nel caso di Stellare nero di Alessandra Greco (https://t.ly/rDtpK). Tutti questi modi – e altri immaginabili o già realizzati – sono sfide al sempreuguale della medesima ricerca letteraria e, a maggior ragione, della morgue editoriale generalista.
Una possibile caratteristica intrigante della forma videogioco, si è detto a ELR, è poi l’attenuazione o scomparsa della centralità della figura autoriale individuale. Spesso nella progettazione di videogiochi, o in altre invenzioni ludiche anche non in rapporto con il contesto digitale, l’autore singolo scompare a fronte di un gruppo di lavoro. Non solo per via di una ripartizione dei compiti, che potrebbe essere tacciata di introiezione della divisione del lavoro, ma anche, ampiamente, in vista di uno spostamento di tutte le faccende che hanno a che fare col senso al di fuori del collante autoriale singolo. (“Senso” inteso anche come ludico/libidico, anti-lavorativo). (Ma anche luddico, se si potesse dire: dunque nella prospettiva di una disintegrazione della macchina gioco da parte del collettivo stesso. Una faccenda da indagare, e che non dovrebbe in teoria banalizzarsi come semplice sabotaggio di regole).
Web
ELR non ha mancato di aprire e tenere in movimento anche il discorso degli spazi in rete, siano essi siti, blog, podcast, pagine statiche, raccolte di link, parcheggi virtuali, archivi, chat, mailing list, canali video, server personali di qualche tipo – o altro ancora. È giusto sottolineare che alcuni di questi aggeggi hanno una storia non brevissima (p. es. https://gammm.org) e quindi potrebbero costituire dei riferimenti. Torno però a insistere sull’importanza, a mio avviso, della costituzione di nuovi nodi all’interno di una rete già esistente: nuovi siti, blog, spazi. Non intendendo questi come concentrazioni di solipsismi e tantomeno terreni di triste autopubblicazione o diario, ma come, appunto, ganci e occhielli di appoggio, tacche, forcelle, recipienti, attrattori, legnetti segnaposto, per il passaggio di connessioni a varie comunità, diverse: quindi abitati e riempiti da più soggettività che collaborano piuttosto che da un unico redattore che decide tutto. Ovviamente va benissimo anche il sito o blog di ricerca letteraria dove c’è il redattore singolo che decide tutto. Quello che voglio dire è che nulla ci impedisce di pensare a strutture leggere che costituiscano e siano in grado di ampliare la rete e quindi l’evidenza & esistenza pubblica, percepita, della scrittura di ricerca.
In questo è fondamentale, ed elemento costitutivo di interesse (che va fatto crescere a mio parere) la letteratura elettronica: cfr. L.E.I., Letteratura Elettronica Italia (https://t.ly/pHFRL).
Diletto
Altro elemento emerso (chiaramente in connessione con quanto scritto in incipit) è la necessità di smussare e ridimensionare l’importanza del perfezionismo, della calligrafia – diciamo – nel lavoro anche editoriale, senza con questo ridurre il valore dei materiali estremamente curati che già sono parte del panorama della ricerca letteraria. È insomma assai importante et laudando apprezzare e sostenere un tot energico di dilettantismo, ovvero – per precisione – di felice e (ir)responsabile diletto (e aggiungerei anche la parola punk da qualche parte) che sta sempre un po’ in tutte le attività che portiamo avanti. Senza con questo mimare e tantomeno incarnare una ingenuità o naïveté sottoboschiva, da (anzi) tuttodì schivare. È o dovrebbe essere chiaro (anche se non facile da precisare). Certo, senza diletto credo che possiamo tutti smontare la nostra baracca e andarcene a casa.
Generi e codici
In molti è emersa, energica, una volontà di rimanere sui margini, sulla soglia, dei generi letterari e dei codici comunicativi. In questo senso si può pensare al fumetto, alla pubblicità, alla forma manifesto=poster, alla fanzine, al sito reattivo ai visitatori, alle tante varietà non incasellabili di gioco e alle intersezioni tra campi (musica, grafica, testualità) che sono già per moltissimi aspetti territori da sempre frequentati dall’arte. I primi riferimenti a cui penso, per incentivare un sostanziale calo di interesse verso le distinzioni di genere in letteratura, e verso le separazioni di codici in ampio, sono le esperienze per altri aspetti lontanissime tra loro di Jean-Marie Gleize e del movimento statunitense Flarf.
Per tanti materiali eslege, (dis)orientati come appena detto, e per la possibilità di conoscerli a prescindere dalla (e anzi contrastando la) “grande” distribuzione, è capitato di fare il nome di Motto distribution (https://t.ly/wkP6-) e Printed Matter (https://t.ly/i_3Z3), anche per ampliare lo spettro del delibabile in termini di senso, di diletto, daccapo, e di strumentario percettivo allargato (e quindi politicamente sovrascritto da tutti gli spostamenti necessari delle nostre insofferenze).
Pensando a queste forme non convenzionali di diffusione dello scritto, e meglio ancora del fuori-genere, va rimarcato che esistono già vari tipi di pubblico (non il solito tossico pubblico della “poesia”) per moltissimi oggetti testuali (o anche testuali) non identificati. Un pubblico o molti pubblici che quindi probabilmente devono essere solo avvicinati all’idea che la ricerca esiste, e che può perfino nascondersi nella scrittura-scrittura. E comunque, in generale, daccapo, nella produzione di senso.
È perciò essenziale continuare a stanare & ampliare il bacino dei golosi e cuochi della ricerca letteraria e delle sue ramificazioni, visto poi che questo bacino di pubblico attivo e potenzialmente interessato esiste già, solo che magari si rivolge spontaneamente non alla forma libro ma ad altri …superconduttori.
Tutto questo senza necessariamente pensare che le sorti della ricerca debbano essere progressive e lineari. (Dal libro al videogioco smagato, passando per il blog semi-interattivo). Non soltanto perché si possono avere momenti di stasi, latenza e addirittura, potremmo dire, involuzione; ma anche perché la ricerca può senza difficoltà assumere le sembianze di qualcosa di apparentemente già udito e quindi non figurare a tutta prima come un’entità linearmente accodabile a una sequenza di opere già individuata o addirittura storicizzata. In questo, di nuovo, una apertura un po’ (e molto felicemente) dilettantesca, ossia centrata sul diletto, è inaggirabile, proprio perché la ricerca implica che non si sappia cosa si sta andando a cacciare, inseguire, stanare.
Polis
La natura politica di quello che si fa con e nella ricerca, per alcuni di “noi” (qualsiasi cosa il pronome significhi, in un Occidente a dir poco reprensibile) è quasi un elemento scontato, troppo facilmente scontato, e da considerare riassorbito o riassorbibile nella pagina o opera stessa che si propone. È tuttavia possibile e da incoraggiare una prosecuzione, sul piano politico, dell’impegno delle avanguardie, per esempio sui tre fronti – embricati – (1) della critica dell’io, (2) della tematizzazione di questioni frontalmente politiche, anche se ciò è molto difficile, e (3) dell’esplicitazione, in sede di dichiarazioni di poetica e di critica, della natura fondamentalmente antagonista di alcune scritture. In questa prospettiva, alcuni di “noi” sono all’interno di un processo in movimento, mentre altri no (o lo sono, ma il movimento ha ritmi peculiari e differenti da autore a autore). Inoltre, possono esserci diversi tipi di frontalità, ipotizzo. È tuttavia certo che, per stare a uno dei temi di ELR e fermandoci al libro, proprio la distribuzione – e l’atteggiamento degli editori verso la distribuzione – può funzionare come segnalatore di posizione politica. Rimanere quanto più possibile esterni alla distribuzione libraria generalista è questo segnalatore. Definirsi attori di una opposizione alla letteratura mainstream e all’editoria che la gestisce si scontra con la cattiva abitudine di alcuni editori sedicenti indipendenti, per esempio, a dare i propri libri in esclusiva ad alcuni distributori, di solito – appunto – generalisti. (Ossia: interessati a fatturazione e movimentazione merci, non a collegare in modo economicamente sostenibile scrittori e lettori).
Diventa via via più difficile negli anni pensare di contrastare in qualche modo il sistema distributivo rimanendo al suo interno. Diversa può essere la posizione nei confronti di alcuni editori che scelgono uno spazio distributivo generalista ma senza concedergli diritti di esclusiva né facoltà di imporre tirature.
Labs
Luogo eminentemente politico del letterario (e non solo) è il laboratorio. Ne sono esistite e ne esistono varie forme: le più interessanti/libere ovviamente sono quelle non compromesse con gli schiacciamenti propri dell’editoria di cassetta.
Gran parte – o almeno una parte ideale – di un lavoro proficuamente laboratoriale non consiste nella crescita del singolo o nelle occasioni di pubblicazione che si possono incidentalmente venire a creare, ma nella costituzione di una collettività, una evoluzione orizzontale di competenze. In questo senso la scuola e l’università in tante occasioni hanno perso mordente e spazi, e non possono offrire contesti utili: ciò non sempre a causa dei docenti, anzi il più delle volte per via della inadeguatezza delle strutture, della burocratizzazione del lavoro, e di fattori economici che troppe gestioni istituzionali pessime hanno nei decenni artatamente manovrato per una messa in crisi perenne e forse irreversibile di ogni contesto pubblico. Nonostante ciò, esistono pur sempre docenti, per quanto eccezioni e forse non regole, in grado di mettere in funzione la dimensione politica dell’insegnamento, trasmettendo meno nozioni che facoltà connettive e critiche. Tra l’altro gli studenti (testimonianza di vari insegnanti a ELR) sono di fatto curiosi delle scritture complesse, e non è impossibile orientare il loro tempo e le loro competenze in modo che diventino loro stessi soggetti attivi di scritture particolari, non congelate e concentrate sul pragmatismo del profitto.
Frammenti
> Un tema toccato dalle discussioni e dai dialoghi è stato quello del canone, inteso non come insieme compatto di testi e autori bensì come ambito estremamente sfrangiato, non fisso. Una volta di più – anche per questa ragione – è chiara la necessità di creare reti per connettere gli attori del letterario.
> Altro elemento in campo: l’importanza delle condizioni materiali immediate reali di vita dei singoli autori. Non è una novità (ma è parossisticamente e viralmente cresciuta come regola, nei decenni più vicini a noi) che le strettoie biografiche non possono che portare frammentazione e strettoie verbali. Fare di queste costrizioni virtù è, pur malvolentieri, un fenomeno la cui evidenza è totale. Le cose si complicano quando una attività intellettuale legata alla scrittura diventa (o si interseca con un) lavoro salariato. Si è ad esempio parlato del sindacato dei traduttori: struttura pensata per la costituzione di un fondo specifico dedicato alla traduzione (che esiste già in Germania).
> Inevitabile e sensata, per più motivi, la connessione con l’esperienza della GKN. Su questo saranno, direi, benvenuti interventi di chi abbia partecipato alle lotte, alle assemblee, al festival: il blog di ELR è in ascolto.
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7 settembre
No editing
Una parte della giornata è stata imprevedibilmente dedicata a esempi di materiali testuali che sembrerebbero o potrebbero di fatto esser concepiti come non sottoposti a editing, non elaborati, in una sorta di ragionato rifiuto del lavoro che diventa rifiuto del labor limae. L’esempio portato è stato quello di Upday di Luciano Neri (https://t.ly/VZ9S9), anche se quella di una assenza di labor limae da più parti è stata spiegata come apparente: il libro ha avuto un suo processo di elaborazione.
C’è anche stata una ulteriore (ripetuta, dal giorno precedente) sottolineatura – in questo senso – del valore di una scrittura che reagisca, nel suo diletto e nella sua intelligente estemporaneità, alla spinta al perfezionismo della società contemporanea; una scrittura che cioè capovolga l’obbligo di essere performanti che vige in ogni pixel del quadro che abbiamo di fronte.
Un esempio di non editing che viene dal passato, forse, può essere ritrovato nell’antologia di scritture irregolari Dal fondo. La poesia dei marginali (Savelli 1978 e Avagliano 2007, a cura di Carlo Bordini e Antonio Veneziani); o nella apparente o reale modalità di loose writing – uno stile senza stile, quasi gettato via, lasco, umbratile, non necessariamente “beat” – che si potrebbe rintracciare tanto nello stesso Carlo Bordini che nei versi di Rossella Or, e di autori fuorilegge come Victor Cavallo (https://t.ly/zX8mk).
Un po’ da tutti è stato comunque sottolineato che c’è una differenza sostanziale tra editing normante e lavoro di avvicinamento alla compiutezza testuale fatto da alcuni redattori anche di casi editrici presenti all’incontro. Ovvero tra la costrizione entro regole stilistiche mainstream da una parte e, dall’altra, il tentativo di elaborare insieme allo scrittore una forma funzionale al rispetto delle tante identità (dell’immaginario) dell’opera.
Un paragone è poi emerso: può essere avvicinata all’idea di scrittura non editata (=non particolarmente o niente affatto editata) anche una messa in rilievo della gestualità, in una sorta di atteggiamento orientale p. es. legato alle tecniche della pittura a inchiostro o dell’acquerello, il cui fulcro è l’immediatezza del movimento della mano, e l’irreversibilità (impossibilità di correzione) del risultato grafico. Al contrario, i colori a olio e altri strumenti pittorici occidentali prevedono tecniche di correzione anche piuttosto complesse, e ripensamenti, riscritture, palinsesti.
Qualcuno ha osservato che in alcuni autori – soprattutto giovani e rigorosissimi – operare sul proprio testo sembra talvolta rispondere a un’esigenza di corrispondenza a qualche (fantasma di) idea pregressa e ossessiva di opera “come dovrebbe essere”. Vero è che – all’opposto – le stesse piattaforme online, molte, chiedono (e quindi il contesto contemporaneo chiede) velocità di digitazione, assenza di revisione, “gesto definitivo”.
In ogni caso: ogni forma di spontaneità (bandito ovviamente lo spontaneismo) è appena un primo livello, in certi casi: la riflessione e l’editing possono cioè, in date esperienze, non essere affatto esclusi dal momento stesso della nascita dei testi. Più di un autore ha del resto notato che la stessa mera trascrizione di discorsi ascoltati, così come un certo balbettamento riportato nero su bianco, includono inevitabilmente una qualche distanza e una sorta di interposizione culturale, una intercapedine non evitabile, mentale e ambientale, di lavoro d’autore tra il dato, l’oggetto e il testo. Addirittura si può dire che pure l’affidarsi a registrazioni audio è un modo per essere sottoposti a filtri e riscritture, regole: i filtri e le regole del sistema di cattura, di registrazione.
Certo è che anche un lavoro di forte/cosciente controllo testuale può essere preintroiettato da parte dell’autore: la stessa scrittura orientale arriva alla perfezione del risultato dopo una lunga ortopedia del gesto.
In tutto ciò interviene come dato non secondario l’esserci o meno del fantasma della comunicabilità. La scrittura può essere considerata non necessariamente come strumento ma come materia: il testo è una materia sentimentale, intendendo per sentimento quell’insieme di strutture ereditate e risposte elettriche immediate (da considerare cioè in senso organicista) all’ambiente e alle interazioni circostanti. Ovviamente il testo va considerato un oggetto, si tratta di organizzare la materia come dovrebbe comparire davanti al lettore e al sé dell’autore.
Un esempio di scrittura più o meno non controllata, e proprio per questo perfettamente funzionante, è quella di Nuova Poesia Troll (https://t.ly/pmXwY e https://t.ly/hMQlO).
Ruolo della critica
È stato osservato che espressioni come “non intenzionalità”, “non assertività” e altre simili possono dare, all’esterno, a chi non si occupa di ricerca letteraria, un’apparenza di scritture fredde. (Tale apparenza era invero realtà esplicita e voluta, nel 2005, in una delle sezioni di RomaPoesia di quell’anno, svolta all’Auditorium di Roma).
È comunque vero che sta ai critici italiani, agli italianisti, produrre le categorie giuste, opportune; mentre in questi 20 anni – pur con l’attenzione che alcuni di loro hanno dedicato alla sperimentazione – non sembra che il mondo della critica abbia stabilito molti punti fermi e prodotto analisi e lessici nuovi. Non è dunque casuale che la gran parte se non la totalità delle espressioni teoriche sia venuta dagli stessi autori.
Luoghi della rete
È sorta una domanda sui luoghi effettivi concreti reali interni alla rete come luoghi della scrittura, al posto delle città o di altre fonti di ispirazione (imbarazzanti e bucoliche, perfino, in un alto numero di autori assertivi). Un contesto come quello della rete cambia gli impianti percettivi dei singoli e dei gruppi, e per alcuni è inevitabile partire da luoghi virtuali (p. es. le escape room, gli scambi in Twitch, gli ambienti di alcuni videogiochi eccetera) per produrre testualità anche non virtuali. Le stesse modalità di interazione dialogica cambiano all’interno dei forum e delle chat. Talvolta si stabilisce una sorta di coscienza collettiva nel trattare questo o quell’argomento. Allora: chi da tempo è dentro il sistema letterario può (potrebbe, potrebbe volere) cercare anche di uscirne per andare verso esperienze che non sono primariamente cartacee o di grezza traslazione dell’universo intellettuale lineare e cartaceo in flussi digitali. Nel mondo accademico e in generale nel sistema letterario, per dire, c’è molta chiusura verso la letteratura elettronica.
È non meno vero che una testualità tendenzialmente assertiva, solo fatta attraverso un vocabolario e un immaginario nato da/in/intorno a Minecraft Roblox Reddit Instagram et alia, non necessariamente ridefinisce le percezioni in senso sintonico e sincronico con il reale e con le linee di senso che alla testualità e alle arti integrate è richiesto di individuare, mettere in crisi e ridefinire. Può o potrebbe semplicemente essere un immaginario che strumentalizza quei social o altre aree della rete, e i loro linguaggi, per produrre pagine inconsistenti, egoriferite, non coscientemente kitsch. Una quantità di sottobosco letterario si tuffa volentieri in una intermedialità ingenua e deprimente, e arriva anche a esporre le proprie fantastiche realizzazioni in sedi un tempo prestigiose.
Frammenti
> Proviamo a rubare a Bruno Latour i suoi “quasi”: quasi-temi e quasi-forme possono attenuare la rigidità di alcune espressioni non solo critiche ma anche creative.
> Una sostanziale debolezza tematica (o proprio assenza di temi) sembra caratterizzare molta parte delle scritture mainstream, che sembrano funzionare come se si affidassero esclusivamente a un loro (sacrale?) sentimento della tradizione.
> È forse uno dei ruoli dello scrittore quello di prendere di necessità in carico (una riflessione sul)la specificità delle forme mediali. Come si ristrutturano le percezioni nella messa a tema della forma di vita delle nuove tecnologie? È importante la presa d’atto della centralità delle ricadute tecniche e percettive di elementi scientificamente osservabili, per esempio il collasso della struttura dialettica dell’esperienza (nel fatto, anche, che la rete lavora su piani non lineari).
> Vero è che la tecnologia svolge le proprie operazioni sempre nel segno della scrittura (codici, algoritmi, popup, istruzioni e suggerimenti a schermo).
> La de-dialettizzazione sembra comunque precedere il contesto digitale. Certo è che il modo in cui si pensa e si coordina la struttura artistica e di ricezione delle acquisizioni artistiche parrebbe mettere fuori l’elemento dialettico.
> Le cose si complicano e si fanno anche più inafferrabili dal punto di vista di una risposta politica quando, come vediamo, l’algoritmo ricodifica maschera e rimaschera le risposte che esso stesso di volta in volta dà, basandosi sulle nostre richieste e sulla sua interazione (e sulle sfumature delle interazioni) con noi.
Fisicizzazione di operazioni mentali
A proposito di fisicizzazione – concretizzazione in gesto – della conoscenza e delle occasioni di senso, è stato fatto l’esempio di Scosse, libro di poesie di Fabrizio Venerandi (https://t.ly/U4eHH): è stato soprattutto sottolineato che per prima cosa il libro non ha DRM, e poi che il codice è separato dal testo, in modo che il mescolamento delle materie testuali possa essere operato anche con pagine diverse. Ossia: chiunque può partire da un proprio testo o da qualsiasi altra fonte per avere i risultati di scompaginazione che Venerandi ottiene con le basi verbali implementate da lui.
In tutto ciò che è stato detto fin qui, le esperienze di Nanni Balestrini e le sue operazioni e sperimentazioni, da Tape Mark I a TristanOil, sono evidentemente non solo pionieristiche ma formanti.
Luoghi (fisici)
Si è parlato poi di un luogo fisico a Napoli, che si occupa di sperimentazione, il Riot studio (http://riotstudio.it e https://t.ly/ii0GE); e di Waste Kompost Radio (https://t.ly/czyRu e https://t.ly/MaM9r), un’esperienza di assorbimento e compostaggio di materiali sonori e verbali, in cui è verificabile direttamente quanto complesso sia intaccare la permanenza e prevalenza del significato e del senso negli oggetti del nostro campo percettivo e creativo.
Non ultimo, sempre in tema di luoghi liberi o liberati, si è fatto un riferimento pure allo spazio napoletano dell’ex Asilo Filangieri (https://exasilofilangieri.it). In coda all’ultima ora di dialoghi di ELR, è emersa soprattutto la coscienza – condivisa – della situazione non facile, un po’ in tutte le città, non solo italiane (p.es. Berlino), di avere a disposizione aree/zone (più o meno temporaneamente) autonome. Si è parlato di Lucca, anche, e di Torino: città, quest’ultima, che ospita esperienze diverse tra loro (e con sintonie con la ricerca letteraria da verificare) come come Lombroso 16 (https://lombroso16.it/), Casa della poesia (https://casadellapoesiatorino.it/), Periferia letteraria (https://periferialetteraria.org/) , Circolo dei lettori (https://circololettori.it/).
È stato fatto presente anche che possono esistere luoghi istituzionali che per paradosso offrono più plasticità elasticità spazi di quelli indipendenti. (Nota laterale: a Roma questo è estremamente difficile, e la mia opinione è che sia comuque preferibile rivolgersi a zone autonome, dove non entrano i reali padroni della città, ossia i neonazisti e i menscevichi).
Più di una critica è emersa nei confronti della situazione non facile a Napoli, che rischia (un po’ come gran parte dell’Italia, per altro) la trasformazione in una festa ininterrotta del turismo: gentrificazione, sterilizzazione, chiusura intellettuale. Napoli è stata definita anche una città fortemente “liricocentrica”.
Un’idea sorta proprio in conclusione di incontro è stata quella di una ipotetica mappatura dei luoghi della ricerca letteraria, musicale e artistica nelle varie città.
Esiste la ricerca vi dà appuntamento a Napoli, Galleria Toledo, 6-7 settembre 2024
A Napoli, venerdì 6 e sabato 7 settembre 2024, dalle 10 alle 18,
alla Galleria Toledo – Teatro stabile d’innovazione
Via Concezione a Montecalvario 34
ESISTE LA RICERCA
direzioni distribuzioni fantasmi
Esiste la ricerca nasce a Roma nel giugno 2022 presso lo Studio Campo Boario, dell’artista Alberto D’Amico, e si articola come sequenza di incontri che chiama a raccolta molte voci delle scritture sperimentali sorte negli ultimi vent’anni, insieme a critici, studiosi, editori, artisti, musicisti e altri sodali. Dopo un altrettanto affollato e proficuo secondo evento a marzo 2023 presso lo spazio milanese La Cavallerizza, nel Teatro Litta, diretto da Antonio Syxty, e un’ulteriore tripla data a settembre 2023 nel foyer dello stesso teatro, quest’anno l’occasione di confronto viene offerta a Napoli dalla Galleria Toledo, di Laura Angiulli.
In sé l’iniziativa nasceva (e ancora prende spunto) dal desiderio di offrire uno spazio pubblico alla discussione sulle intenzioni, i valori, le relazioni e i contesti operativi delle nuove generazioni della scrittura e della critica di ricerca.
Anche a Napoli, come nelle precedenti occasioni, l’incontro consisterà in un libero estemporaneo scambio di idee e costruzione di ipotesi, senza microfoni, senza registratori o videocamere, e senza gerarchie, a partire da alcuni quesiti fondamentali: un dialogo aperto e orizzontale in cui potranno prendere la parola sia le persone invitate sia il pubblico.
I quesiti – o meglio le questioni di fondo – i temi – che a settembre si metteranno in gioco saranno principalmente due:
> le direzioni e prassi, le “poetiche”, della ricerca letteraria (insieme alle “difficoltà” delle poetiche in generale, nel contesto contemporaneo dato); e
> la distribuzione dei materiali testuali e artistici e l’editoria indipendente; con uno sguardo all’ipotesi dell’autoproduzione (che è una pratica con una storia anche politica importante, in qualche modo rinnovata soprattutto nell’ultimo quarto di secolo dall’esistenza stessa di internet). Questo secondo tema sarà arricchito dalla presenza di editori e collane che esporranno le opere da loro pubblicate.
L’iniziativa si avvarrà poi, a dialoghi conclusi, nei giorni e mesi successivi, di riflessioni audio (daccapo non pre-organizzate, non pre-scritte) su quanto detto e udito a Napoli, ospitate via via dal blog Esiste la ricerca (mtmteatro.it/progetti/esiste-la-ricerca/), nato a fine 2023 grazie al sito di Manifatture Teatrali Milanesi / Teatro Litta.
Galleria Toledo
Teatro stabile d’innovazione
Via Concezione a Montecalvario 34
METRO LINEA 1 – Fermata Toledo / uscita Montecalvario
CONVENZIONATA CON SUPERGARAGE
Via Shelley, 11 – 80100 Napoli
si ringrazia Laura Angiulli per l’ospitalità e la collaborazione
Pasquale Polidori, Appunti per il simposio "La linea d'ombra"
Pasquale Polidori
Appunti per il simposio “La linea d’ombra”
(Questi appunti sono inediti e hanno la natura dei bozzetti. Sono estratti dal
percorso di preparazione di La linea d’ombra, un simposio in quattro
appuntamenti che si è svolto al museo Macro Asilo nel 2019 a Roma, e
riordinati per il blog di Esiste la ricerca.)
[appunto teorico #1: innaturalità della pittura nello spazio conclusivo]
è naturale la vita senza la morte, no, e dunque è naturale la pittura senza una fine, no, è naturale la pittura senza pensare alla fine, no, è naturale la pittura pensando la fine già avvenuta, no, è naturale la pittura pensando la fine non già avvenuta, no, è naturale la pittura pensando di smettere di pensare alla fine, no, è naturale la pittura analizzando il momento in cui si sta pensando alla fine, no, è naturale la pittura facendo altro invece che analizzare il momento in cui si sta pensando alla fine, no, è naturale la pittura credendo di poter fare finta di continuare a fare altro invece che analizzare il momento in cui si sta pensando alla fine, no, è naturale la pittura facendo finta di non pensare alla fine, no, è naturale la pittura facendo finta di pensare alla fine, no, è naturale la pittura ripetendo la fine, no, è naturale la pittura dando inizio alla fine, no, è naturale la pittura aggirando l’ostacolo costituito dall’evidenza dell’inizio della fine, no, è naturale la pittura rovesciando il concetto di fine in funzione di uno spazio esclusivamente e infinitamente generativo, no, è naturale la pittura credendo di sopprimere alla radice l’emergere predestinato di uno spazio conclusivo, no, è naturale la pittura nel patimento della circostanza della inevitabilità di uno spazio conclusivo, no, è naturale la pittura nella conseguenza del dilagare della materia nello spazio conclusivo a spese delle forme, no, è naturale la pittura nella ricerca ostinata e velenosa di assurde spiegazioni al crescente dilagare della materia che fa ormai da destino a ogni pensiero e comportamento, no, è naturale la pittura non potendosi più dare forma ma dovendo comunque organizzare la risposta all’appello disperato della malattia dei linguaggi, no, è naturale la pittura essendo costretti a restare nello spazio conclusivo del dilagare predestinato e inarrestabile della materia a non poter non ascoltare la voce pietosa ridotta a un filo inconcepibile dei linguaggi malati, no, è naturale la pittura nell’infinita non morte dei linguaggi malati e per ordine estetico confinati nelle zone più estreme della realità, no, è naturale la pittura nella metafora della malattia dei linguaggi in generale i quali da una parte smateriandosi o dall’altra immateriandosi non fanno in ogni caso che ripetere lo schema doloroso della fine delle forme nello spazio necessariamente e inevitabilmente conclusivo, no, è naturale la pittura in una realità che ha perso ogni contrario nello spazio in cui dilaga la materia senza nessuna speranza di una forma per via della malattia dei linguaggi, no, è naturale la pittura in una realità impazzente di sé per dilagamento della materia posseduta di sé, no, è naturale la pittura che per estrema miseria e desertificazione dell’espressione dovuta alla malattia dei linguaggi sta nello spazio obbligatoriamente conclusivo circondata dalla materia dilagante che non lascia sperare nell’arrivo di una definizione e né nell’abbandono di una definizione come una vergine delle rocce che ovunque le pesano le rocce, le rocce concettuali, le rocce materiali, no
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[appunto teorico #2: organizzarsi in direzione della fattibilità dell’azione]
… numero due, sopra-esistenza del pensiero ordinativo, numero due (a), distanza semantica nell’ambiente, numero due (b), otticità dei volumi, numero due (c), allineamento fenomenico, due (c) primo, temporalità indotta o finzione narrativa, due (c) secondo, tentativo punto abbandono punto tentativo, due (c) terzo, crisi del passo e disvenienza del doppio tempo, numero due (d), creare raggruppamenti sulla base di nuovi criteri, numero tre, con tutto il misurare che ci impegna, numero tre (a), espandere fino al limite, numero tre (b), mancare, numero tre (c) spazio spaziato e durante durato, numero quattro, poter contare sul fare, numero quattro (a), fare assoluto senza orizzonte, numero quattro (b), fare in direzione di un eventuale paesaggio, numero quattro (c), fare e agire, quattro (c) primo, fare in sospensione dell’atto, quattro (c) secondo, fare sprofondando nell’atto, quattro (c) terzo, fare lateralmente all’atto, numero cinque, illusione del come se, numero cinque (a), come se esser-molto, numero cinque (b), come se esser-essere, numero cinque (c), come se esser-poco, numero sei, partecipare senza definizione, numero sette, indicare una possibile sistemazione di sé in quanto ready-made, numero otto, discutibilità delle misure, numero otto (a), misura come giudizio dell’operare, numero otto (b), misura come al di qua dell’opera e chimera del finito, numero otto (c), misura come appuntamento posizione statura, numero nove, riaprire l’oggetto alla sua generazione, numero nove (a), diminuzione ordinata degli elementi, numero nove (b), cose pensiero cose pensiero cose pensiero all’infinito ovvero tentando di dar luogo a un infinito, numero nove (c), assorbimento dei nomi nello spazio, numero dieci, contenuto e mistero, numero dieci (a), magritte, numero dieci (b) …
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[racconto breve #1: la cosalità non è finita]
arriva in galleria con due tele e una decina di disegni, non fa una mostra da cinque anni, l’ultima volta una partecipazione a carattere immateriale, immateriale per via del fatto che nello spazio non è insinuata come localizzabile e riferibile a un sistema la materia disciplinata ordinativa dei valori dell’interpretazione del possibile espressivo, e non c’è altro che un vaso normale con una pianta verde d’appartamento normale senza fiori e una lampada a 300w normale e la sedia normale su cui lui sta seduto a leggere (un libro di antropologia), dove le parentesi poste all’oggetto sono parte del discorso e garanzia della immaterialità delle componenti oggettuali, e pertanto la collocazione dell’atto è tale che il vaso la pianta la lampada il libro e la sedia non sono contati nella materialità ma invece nella cosalità, cosalità che implica una certa prossimità col pavimento, mancanza accordata di sostegni semantici, compresi i chiodi se i chiodi garantiscono il transito del dicibile, e quella è l’ultima volta, in seguito a quella volta decide di abbandonare la cosalità, riprende a dipingere, fa due tele e tre quattrocento disegni dai quali appunto un giorno estrae un esiguo nucleo organico che fa riferimento a un medesimo concetto, e dunque arriva in galleria con le tele e i disegni, la persona gli apre la porta, si salutano, lui domanda, qual è il posto assegnato, la persona risponde, nella stanza di fronte all’ingresso, le due tele accostate all’angolo e poggiate per terra, i disegni nella parte più in alto della parete, e lui domanda, sei sicuro che le due tele non vadano appese mi sembra che a poggiarle per terra ci sia come un tradimento, e la persona sinteticamente risponde, certo che sono sicuro, adesso si fa così, la cosalità non è ancora morta …
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[racconto breve #2: l’esposto non ultimabile]
… il lavoro esposto al museo non può considerarsi ultimato, nel senso che indubbiamente il lavoro rappresenta l’assunzione di un punto di vista, che consiste in una precisa modalità di comportamento, dove il comportamento è da intendersi come una chiave di lettura esistenziale (corporale non si dice) delle radicali questioni estetiche che si pongono, che si pongono evidentemente, che si pongono assolutamente o relativamente, in altri termini la costrizione a interpretare, a interpretare il filosofico (diamo per scontato e generico il filosofico, come minimo il filosofico) attraverso gli atti, quando gli atti sono sostenuti da una progettualità, anche verbale, che in tutti i sensi sostituisce il disegno, e dunque ogni questione può/deve risolversi letteralmente in un certo modo di stare in piedi, quando scegli se, per esempio, tieni i piedi su un foglio millimetrato o su una tela o su un libro, e anche l’oggetto che tieni in mano significa l’indirizzamento del senso, ossia la costrizione dello sguardo, una pena, uno scartare continuo, essendo acquisito il principio che proprio nel visivo l’assunzione di un punto di vista non equivale tanto all’apertura di una prospettiva di un percorso che ti caratterizza, ti individua, ti fa consistere sotto forma di linguaggio in opera all’interno di una comunità (la parola comunità occorre come variabile retorica onorevole di altre parole tutte da vergognarsi, ma lui non la condivide), quanto anzitutto l’assunzione di un punto di vista implica la promessa di una chiusura, cioè l’indicazione (anche non esplicita, anche rinviata a un secondo tempo, anche data per impossibile, ma: data) di una ultimità, e nient’altro che questa è la prospettiva che ti comprende e che comprende i tuoi atti interpretativi, alla luce dei quali la prospettiva consiste nell’assicurazione di una morte per misura, per calcolo, per insieme ponderato di ombre e di profili …
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[poesia contro l’idea #1 (poesia d’amore): addormentare una piccola opera d’arte con il volto rigato di lacrime]
cucciola cucciola cucciola della materia occasionante,
del segreto della materia occasionante, della semplice autocoscienza del segreto della materia occasionante,
della sguardante autocoscienza del segreto della materia occasionante, della protrazione della sguardante autocoscienza del segreto della materia occasionante,
frutto della sbadanza dell’essere, dell’accuratamente studiata sbadanza dell’essere,
posta teneramente al riparo dall’accadenza dell’idea, dalla crudele formanza dell’idea,
l’idea è cattiva, cattiva, cattiva
l’idea che ti disse: mettiti qui, disponiti qui, estenditi qui, inizia in questo punto, in quell’altro finisci, tu esisti da qui a qui, tu fai così e così, eccoti le misure, eccoti la materia
l’idea che ha fatto male all’opera cosale
l’idea che dà il veleno all’opera in generale
l’unica idea buona è l’idea morta
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[poesia contro l’idea #2 (poesia filosofica): scacciare le idee, la metafisica delle idee avvelena l’opera]
cogiacenza a tutti i costi tra questa e quella cosa, paralisi dei limiti,
vestito troppo largo vestito troppo stretto, taglio del corpo dell’opera,
l’idea dell’opera ripara in tal modo l’inconcepibilità dell’opera,
in tal modo ovverosia: attraverso il suo porsi e riproporsi come unica strada plausibile
alla scorporatura dell’opera, scasamento, abbandono del pensiero da parte dell’opera
immagine: sul pavimento, al centro della stanza, l’opera sta senza corpo, e tutti per questo la credono misera, e tutti per questo la compiangono e invocano l’arrivo delle idee, tutti sono convinti che le idee salveranno l’opera dalla sua scorporatura, dalla crudezza del suo essere stante senza corpo al centro della stanza, sul pavimento
arrivano le idee, ordinatamente le idee, abituate filosoficamente a fare la fila, prima questa, poi quella, poi quell’altra, ma poi alla vista dell’opera ogni idea vuole la sua parte
idee non spingete, idee fate la fila pazientemente, per favore idee rispettate la fila, andiamo, non sporgetevi oltre il limite oggettuale, lasciate agire la materia, su, idee non accanitevi, lasciate in pace la realtà materiale, ma che vi ha fatto di male, idee, su, abbandonate l’opera alla sua felice inconcepibilità, idee, mollate l’osso dell’opera una volta per tutte, stramaledette guardiane metafisiche
Testi di Lorenzo Basile Baldassarre
Lorenzo Basile Baldassarre
Testi inediti
da
Transizione continua
Tat
sogna
voglio dire
che dorme ancora
vuole dire
movimento
vuole dire
densità
c’è movimento
è stordito
divisibile
solo
voglio dire
che ha tutto
può tutto
voglio dire
questo
è solo
voglio dire
parla
si dice
meno
precipita
è assorto
incorporeo
voglio dire
anche questo
è il senso
voglio dire
è diverso
è altrove
è presente
ci siamo
dentro
voglio dire
agiamo
voglio dire questo
e ho detto
§
la durata e la collocazione degli elementi
sono la realtà della superficie
il fatto che si protrae nel tempo
e cresce con l’esplorazione
tutto sta nel sapere quando
e dove si cammina
nel connettere tra loro i territori
e andare altrove
raccogliere i dati quando si ricerca
conoscere interamente la regione
i fenomeni e le linee
sono ora a breve distanza
corrispondono
ecco sono uniti
si somigliano ancora
§
dietro il punto di rottura
l’onda sta cambiando
piegherà la cresta in avanti
rompendosi
facendo molta schiuma
e sollevando la sabbia
passa lontano dalla costa
sotto la pressione del vento che ruota
soltanto adesso che avanza
invece di restare e opporsi
il corpo è capace di muoversi
di rimanere a galla
immaginando di affondare
quando il mare si solleva
la velocità del corpo aumenta
improvvisamente
perché l’essere varia
raggiungendo la spiaggia
il corpo scivola
mentre l’onda s’infrange
e ritorna
§
mentre concepivo la poesia
ho incominciato a esprimermi
con molta attenzione e fatica
ho impiegato un certo tempo
a cercare l’ispirazione
ho composto frasi strane
forse la mia esperienza è immensa
e ho creato la poesia più adatta
senza approfondire
ho tirato fuori parole vaghe
una quantità di pensieri e di frasi
gode delle mie mani
ho allungato la poesia
perché ho capito l’oggetto
sono attirato dalla poesia
Testi di Mario Corticelli
Mario Corticelli
Testi inediti
da
libro della natura e del continuo
libro
il rosso cocomero
che bello che è il linguaggio
pensate se fosse
il cremisi cocomero com’è bello è bellissimo il linguaggio
pensate se fosse
il mirabile linguaggio perlucente
rosso
cremisi
con lancio del cocomero dal balcone
con una qualche distruzione dell’autore
la perlunga strada
quando tutto sta crollando, ciò che resta in piedi rinuncia e non esiste
nel vicendevole massacro del cremisi sul rosso perlucente
con lancio del cocomero dal balcone
rorido
con parziale distruzione del vicendevole
con parziale distruzione del cocomero
nel cremisi lucente
che vaga solcando la foresta
nell’attuare le sue visioni di bonifica
usando la terra che era sua
col lancio di cocomeri dagli alti
rami perlucenti del bel rorido
cremisi e dai balconi
con parziale distruzione della selva
e ripetendo
rilucente il cremisi rinovella
esci e coltiva i campi
quando piove a tutta distesa
non misurare l’estensione dei campi
con vasta seminagione di cocomeri
in attesa del cremisi smagliante
della pioggia perlucente e già posata
e poi si odono feste di mercato
con gioia di genti
nel crollo dei prezzi di mercato
con una qualche distruzione delle genti
perlunga la strada che è lucente
che bello che è il linguaggio delle genti
con una qualche distruzione del linguaggio
oh ti odo, genti, nel lungo perlucire del linguaggio
con una qualche distruzione dell’autore
§
un altro tema
i cocomeri sopra i campi e altre storie di sepolture negate.
§
libro
ho preso una medaglia d’oro e l’ho messa
sul giro del sole
con inclinazione dell’intero giro dei pioppi
a favore di ammirare intero il giro del sole
con cielo e sono salito sulle cime degli edifici a portata verso il giro del sole
con messa la medaglia in quel giro, con presa del giro del sole
con ombra della medaglia su quel giro del sole
e la perduta docilità degli sfondi sotto il sole
come il camaleonte che si staglia contro il cielo si fa azzurrocielo
e allora il cielo eccolo blu
eccolo rosso che si dice tramonto
eccolo viola il cielo del colore
e la ritrovata docilità degli sfondi il cielo si fa d’oro
per il giro del sole della medaglia dell’oro messa sopra lungo il giro alto del sole
non la vedo più
sono salito sui molti edifici a portata di sole e non ho visto niente
ho immaginati storie di cani
in caccia uccisi dai cacciatori nella caccia
sotto il sole ho fuggito i lupi
i lupi non sanno ciò che si dice a loro riguardo a margine delle immagini di lupi sotto
il sole
la perduta docilità dei cani con un lieve spostamento verso i lupi
la perduta docilità dei lupi con un lieve spostamento verso i cani
ritrovata
i lupi non impressionano immagini sul tremolio dell’aria docile nel centro
della città ove lupi non vedi
non ve n’è
la perduta docilità dell’aria sotto le ali del piccione e cade
e la perduta docilità del suolo che lo spacca
ci sono immagini di cani all’ombra dell’oro
i lupi corrono le farfalle volano essi s’incontrano nell’oro
la giornata è una farfalla gigante non ha appoggi sul cielo fatto d’oro
contenuta dal giro del sole
§
un altro tema
ho salito i molti alberi e ho visto molte cose
nessuna delle quali una.
*
Il libro della natura e del continuo uscirà
a settembre 2024 per le edizioni déclic
(https://www.declicedizioni.it)
Due testi di Francesca Perinelli
Francesca Perinelli
Due inediti
santalucia
) un’interpretazione della domanda secondo te ha importanza, è assolutamente? sì. quale che sia la funzione o la fonte, addirittura esplicitata, dichiarata, l’eteronimia diventa una sorta di àncora. ti faccio un esempio. lui la chiama regolarmente, dicendo che la associa al fatto, quindi lei è una donna e, sia pure in maniera sinistra, c’è
una collana di piombi gettata a interrompere la notizia che in fondo al mare i pesci brucano gli occhi di persone non all’altezza della fine (la fine si pone come proposta di bassa lega tra le esplosioni e il funerale che prende tutto lo schermo della casa di riposo: gli anziani possono leggere la fine una sola sillaba alla volta ma non verrà servita né per pranzo, né per la soddisfazione dei rapporti. la fuga, di qua asfissiata nell’insalata di occhi di santa lucia, di qua uno scarabocchio impossibile, di qua neppure, però, è lì, dietro appena otto centimetri di foratino
chissà come fa a reggere tutta quella televisione
vi seppellirà
e se prima eravate in sei, eravate eccetera eccetera, poi dopo, adesso, così, mi sembra che. cantavate **** **** ma era un diversivo. percorsi idiosincratici associati allo spirito dimesso, come a dire: il nostro lavoro è questo, siamo a disposizione, eventualmente fateci sapere. ma nemmeno il panorama partiva da zero con quegli scarti di tradizione. un conto è recuperare un conto e un conto è poi, sono due cose che poi ognuno aveva un proprio punto di vista, o anche di meno. varie persone incrociandovi recitavano una frase sperimentale riesumando la dialettica barthesiana: c’è la scrittura, non c’è lo stile. cosa vuol dire, insomma? e se prima eravate come la lingua da parlare da qui in avanti, oggi siete delusi, non avete conservato un briciolo di affezione
adesso siete in cinque e cantate **** ****. è sicuro che non c’è un certo novecento in campo, non c’è spazio per il movimento embrionale sovrascritto, cristallizzato nelle vostre corde come materiale deperibile. non vi siete avvantaggiati del gruppo, non avete nemmeno un manifesto. la divergenza non è sfruttata appieno. bravo, grazie, e adesso siete in quattro
**** **** sono i padri putativi di una parentela becera, viene in mente una frase che circolava in quegli anni di deserto, ma ci sono ancora in giro troppe persone, troppe riviste, troppi siti, troppi discorsi critici presi per i capelli. non possiamo pronunciarla
tre, due uno. **** ****, di cosa stiamo parlando?
Testi di Francesco Scapecchi
Francesco Scapecchi
4 cut-up
(inediti)
cut-up #44
dall’essenza data di qualsiasi cosa seguono necessariamente certe cose:
dalla medicina impariamo che l’uomo si sviluppa nella maniera migliore quando può lavarsi a dovere ed esporsi convenientemente all’aria e al sole.
riguarda solitamente casi in cui lo stato perforatore è molto piccolo.
si può fare in modo che lascino tracce.
essi diventano diritti umanitari i diritti di coloro che non li possono attuare.
come se non bastasse la prima eccezione alle regole urbanistiche.
domando perché.
in una maniera o nell’altra abbiamo rubato.
non ce ne lamentiamo.
cut-up #48
ci sono degli angoli tenebrosi nella regola del fallo.
il portiere dopo una lunga attesa ha rinunciato all’attività eroica.
come il trasporto senza ruote.
cut-up #19
sta’ a sentire: telegrafò a cuba che era impossibilitato – mentre infuriava corse la punta azzurro chiaro che. sono ormai dispersi. di desiderio. pur rimanendo. sono sbigottito per il sangue freddo che sta dimostrando, signor primo ministro. comunque vada a finire per l’investimento, non si riesce a tornare indietro illesi. ancor che grave lor paresse parlavano non a bassa voce: il repertorio dei gesti è limitato, colore locale e profumo personale.
risvegliata da morti improvvise si lasciava travolgere, immaginare atlanti, aveva appena corso per duecento metri dentro un perimetro di luce attraversabile. è consolante come la contemplazione.
qualsiasi difetto anche è più gradevole.
questo avviene per lo più nell’amore.
cut-up #26
il sorriso arcaico divenuto immenso. dalla tua cara boccuccia egli ha fatto dei manifesti usando il tropo. casi in cui la lingua è molto piccola, deh!, cuor del corpo mio, gli eventi subatomici che si verificano, nel preconscio, ma di un, per esempio.
egli si era convertito. siccome il borghese non vuole e non deve essere un santo i quaccheri facevano così: vennero ordinati dei polli, la droga ingombrante, un panino al prosciutto accuratamente confezionato dio solo sa a quale prezzo. ci fecero dannare tutti quanti.
tutta la brutta vita prende piede negli anni ’90.