Marco Giovenale, Notille personali, conversevoli colloquiali, su Esiste la ricerca 4, Napoli (6-7 sett. 2024)
Marco Giovenale
Notille personali, conversevoli colloquiali, su Esiste la ricerca 4, Napoli (6-7 settembre 2024)
Premessa: questa sequenza di discorsi riportati riscritti parzialmente (e senza nomi) funziona e ‘gira’ – devo di malavoglia osservare – se incastrata in osservazioni personali e interpolazioni di cui devo giocoforza dirmi soggetto. Per fortuna non tutto è discorso, ma molto – se non tutto – eccedenza in forma di frammento e dubbio. La cosa sarà meglio visibile verso la seconda metà dello scritto, dove la rarefazione degli appunti costringerà il flusso a spezzettarsi in piccole o minime canaline quasi completamente separate le une dalle altre, ciascuna introdotta da un segno “>”
6 settembre
Carta o no
Si è parlato non poco delle forme alternative al libro di carta, anche in ordine al nodo struttura / diffusione / distribuzione. Una di queste forme può essere il videogioco, per esempio, un’altra il gioco da tavolo, o ancora l’oggetto da montare – come nel caso di Stellare nero di Alessandra Greco (https://t.ly/rDtpK). Tutti questi modi – e altri immaginabili o già realizzati – sono sfide al sempreuguale della medesima ricerca letteraria e, a maggior ragione, della morgue editoriale generalista.
Una possibile caratteristica intrigante della forma videogioco, si è detto a ELR, è poi l’attenuazione o scomparsa della centralità della figura autoriale individuale. Spesso nella progettazione di videogiochi, o in altre invenzioni ludiche anche non in rapporto con il contesto digitale, l’autore singolo scompare a fronte di un gruppo di lavoro. Non solo per via di una ripartizione dei compiti, che potrebbe essere tacciata di introiezione della divisione del lavoro, ma anche, ampiamente, in vista di uno spostamento di tutte le faccende che hanno a che fare col senso al di fuori del collante autoriale singolo. (“Senso” inteso anche come ludico/libidico, anti-lavorativo). (Ma anche luddico, se si potesse dire: dunque nella prospettiva di una disintegrazione della macchina gioco da parte del collettivo stesso. Una faccenda da indagare, e che non dovrebbe in teoria banalizzarsi come semplice sabotaggio di regole).
Web
ELR non ha mancato di aprire e tenere in movimento anche il discorso degli spazi in rete, siano essi siti, blog, podcast, pagine statiche, raccolte di link, parcheggi virtuali, archivi, chat, mailing list, canali video, server personali di qualche tipo – o altro ancora. È giusto sottolineare che alcuni di questi aggeggi hanno una storia non brevissima (p. es. https://gammm.org) e quindi potrebbero costituire dei riferimenti. Torno però a insistere sull’importanza, a mio avviso, della costituzione di nuovi nodi all’interno di una rete già esistente: nuovi siti, blog, spazi. Non intendendo questi come concentrazioni di solipsismi e tantomeno terreni di triste autopubblicazione o diario, ma come, appunto, ganci e occhielli di appoggio, tacche, forcelle, recipienti, attrattori, legnetti segnaposto, per il passaggio di connessioni a varie comunità, diverse: quindi abitati e riempiti da più soggettività che collaborano piuttosto che da un unico redattore che decide tutto. Ovviamente va benissimo anche il sito o blog di ricerca letteraria dove c’è il redattore singolo che decide tutto. Quello che voglio dire è che nulla ci impedisce di pensare a strutture leggere che costituiscano e siano in grado di ampliare la rete e quindi l’evidenza & esistenza pubblica, percepita, della scrittura di ricerca.
In questo è fondamentale, ed elemento costitutivo di interesse (che va fatto crescere a mio parere) la letteratura elettronica: cfr. L.E.I., Letteratura Elettronica Italia (https://t.ly/pHFRL).
Diletto
Altro elemento emerso (chiaramente in connessione con quanto scritto in incipit) è la necessità di smussare e ridimensionare l’importanza del perfezionismo, della calligrafia – diciamo – nel lavoro anche editoriale, senza con questo ridurre il valore dei materiali estremamente curati che già sono parte del panorama della ricerca letteraria. È insomma assai importante et laudando apprezzare e sostenere un tot energico di dilettantismo, ovvero – per precisione – di felice e (ir)responsabile diletto (e aggiungerei anche la parola punk da qualche parte) che sta sempre un po’ in tutte le attività che portiamo avanti. Senza con questo mimare e tantomeno incarnare una ingenuità o naïveté sottoboschiva, da (anzi) tuttodì schivare. È o dovrebbe essere chiaro (anche se non facile da precisare). Certo, senza diletto credo che possiamo tutti smontare la nostra baracca e andarcene a casa.
Generi e codici
In molti è emersa, energica, una volontà di rimanere sui margini, sulla soglia, dei generi letterari e dei codici comunicativi. In questo senso si può pensare al fumetto, alla pubblicità, alla forma manifesto=poster, alla fanzine, al sito reattivo ai visitatori, alle tante varietà non incasellabili di gioco e alle intersezioni tra campi (musica, grafica, testualità) che sono già per moltissimi aspetti territori da sempre frequentati dall’arte. I primi riferimenti a cui penso, per incentivare un sostanziale calo di interesse verso le distinzioni di genere in letteratura, e verso le separazioni di codici in ampio, sono le esperienze per altri aspetti lontanissime tra loro di Jean-Marie Gleize e del movimento statunitense Flarf.
Per tanti materiali eslege, (dis)orientati come appena detto, e per la possibilità di conoscerli a prescindere dalla (e anzi contrastando la) “grande” distribuzione, è capitato di fare il nome di Motto distribution (https://t.ly/wkP6-) e Printed Matter (https://t.ly/i_3Z3), anche per ampliare lo spettro del delibabile in termini di senso, di diletto, daccapo, e di strumentario percettivo allargato (e quindi politicamente sovrascritto da tutti gli spostamenti necessari delle nostre insofferenze).
Pensando a queste forme non convenzionali di diffusione dello scritto, e meglio ancora del fuori-genere, va rimarcato che esistono già vari tipi di pubblico (non il solito tossico pubblico della “poesia”) per moltissimi oggetti testuali (o anche testuali) non identificati. Un pubblico o molti pubblici che quindi probabilmente devono essere solo avvicinati all’idea che la ricerca esiste, e che può perfino nascondersi nella scrittura-scrittura. E comunque, in generale, daccapo, nella produzione di senso.
È perciò essenziale continuare a stanare & ampliare il bacino dei golosi e cuochi della ricerca letteraria e delle sue ramificazioni, visto poi che questo bacino di pubblico attivo e potenzialmente interessato esiste già, solo che magari si rivolge spontaneamente non alla forma libro ma ad altri …superconduttori.
Tutto questo senza necessariamente pensare che le sorti della ricerca debbano essere progressive e lineari. (Dal libro al videogioco smagato, passando per il blog semi-interattivo). Non soltanto perché si possono avere momenti di stasi, latenza e addirittura, potremmo dire, involuzione; ma anche perché la ricerca può senza difficoltà assumere le sembianze di qualcosa di apparentemente già udito e quindi non figurare a tutta prima come un’entità linearmente accodabile a una sequenza di opere già individuata o addirittura storicizzata. In questo, di nuovo, una apertura un po’ (e molto felicemente) dilettantesca, ossia centrata sul diletto, è inaggirabile, proprio perché la ricerca implica che non si sappia cosa si sta andando a cacciare, inseguire, stanare.
Polis
La natura politica di quello che si fa con e nella ricerca, per alcuni di “noi” (qualsiasi cosa il pronome significhi, in un Occidente a dir poco reprensibile) è quasi un elemento scontato, troppo facilmente scontato, e da considerare riassorbito o riassorbibile nella pagina o opera stessa che si propone. È tuttavia possibile e da incoraggiare una prosecuzione, sul piano politico, dell’impegno delle avanguardie, per esempio sui tre fronti – embricati – (1) della critica dell’io, (2) della tematizzazione di questioni frontalmente politiche, anche se ciò è molto difficile, e (3) dell’esplicitazione, in sede di dichiarazioni di poetica e di critica, della natura fondamentalmente antagonista di alcune scritture. In questa prospettiva, alcuni di “noi” sono all’interno di un processo in movimento, mentre altri no (o lo sono, ma il movimento ha ritmi peculiari e differenti da autore a autore). Inoltre, possono esserci diversi tipi di frontalità, ipotizzo. È tuttavia certo che, per stare a uno dei temi di ELR e fermandoci al libro, proprio la distribuzione – e l’atteggiamento degli editori verso la distribuzione – può funzionare come segnalatore di posizione politica. Rimanere quanto più possibile esterni alla distribuzione libraria generalista è questo segnalatore. Definirsi attori di una opposizione alla letteratura mainstream e all’editoria che la gestisce si scontra con la cattiva abitudine di alcuni editori sedicenti indipendenti, per esempio, a dare i propri libri in esclusiva ad alcuni distributori, di solito – appunto – generalisti. (Ossia: interessati a fatturazione e movimentazione merci, non a collegare in modo economicamente sostenibile scrittori e lettori).
Diventa via via più difficile negli anni pensare di contrastare in qualche modo il sistema distributivo rimanendo al suo interno. Diversa può essere la posizione nei confronti di alcuni editori che scelgono uno spazio distributivo generalista ma senza concedergli diritti di esclusiva né facoltà di imporre tirature.
Labs
Luogo eminentemente politico del letterario (e non solo) è il laboratorio. Ne sono esistite e ne esistono varie forme: le più interessanti/libere ovviamente sono quelle non compromesse con gli schiacciamenti propri dell’editoria di cassetta.
Gran parte – o almeno una parte ideale – di un lavoro proficuamente laboratoriale non consiste nella crescita del singolo o nelle occasioni di pubblicazione che si possono incidentalmente venire a creare, ma nella costituzione di una collettività, una evoluzione orizzontale di competenze. In questo senso la scuola e l’università in tante occasioni hanno perso mordente e spazi, e non possono offrire contesti utili: ciò non sempre a causa dei docenti, anzi il più delle volte per via della inadeguatezza delle strutture, della burocratizzazione del lavoro, e di fattori economici che troppe gestioni istituzionali pessime hanno nei decenni artatamente manovrato per una messa in crisi perenne e forse irreversibile di ogni contesto pubblico. Nonostante ciò, esistono pur sempre docenti, per quanto eccezioni e forse non regole, in grado di mettere in funzione la dimensione politica dell’insegnamento, trasmettendo meno nozioni che facoltà connettive e critiche. Tra l’altro gli studenti (testimonianza di vari insegnanti a ELR) sono di fatto curiosi delle scritture complesse, e non è impossibile orientare il loro tempo e le loro competenze in modo che diventino loro stessi soggetti attivi di scritture particolari, non congelate e concentrate sul pragmatismo del profitto.
Frammenti
> Un tema toccato dalle discussioni e dai dialoghi è stato quello del canone, inteso non come insieme compatto di testi e autori bensì come ambito estremamente sfrangiato, non fisso. Una volta di più – anche per questa ragione – è chiara la necessità di creare reti per connettere gli attori del letterario.
> Altro elemento in campo: l’importanza delle condizioni materiali immediate reali di vita dei singoli autori. Non è una novità (ma è parossisticamente e viralmente cresciuta come regola, nei decenni più vicini a noi) che le strettoie biografiche non possono che portare frammentazione e strettoie verbali. Fare di queste costrizioni virtù è, pur malvolentieri, un fenomeno la cui evidenza è totale. Le cose si complicano quando una attività intellettuale legata alla scrittura diventa (o si interseca con un) lavoro salariato. Si è ad esempio parlato del sindacato dei traduttori: struttura pensata per la costituzione di un fondo specifico dedicato alla traduzione (che esiste già in Germania).
> Inevitabile e sensata, per più motivi, la connessione con l’esperienza della GKN. Su questo saranno, direi, benvenuti interventi di chi abbia partecipato alle lotte, alle assemblee, al festival: il blog di ELR è in ascolto.
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7 settembre
No editing
Una parte della giornata è stata imprevedibilmente dedicata a esempi di materiali testuali che sembrerebbero o potrebbero di fatto esser concepiti come non sottoposti a editing, non elaborati, in una sorta di ragionato rifiuto del lavoro che diventa rifiuto del labor limae. L’esempio portato è stato quello di Upday di Luciano Neri (https://t.ly/VZ9S9), anche se quella di una assenza di labor limae da più parti è stata spiegata come apparente: il libro ha avuto un suo processo di elaborazione.
C’è anche stata una ulteriore (ripetuta, dal giorno precedente) sottolineatura – in questo senso – del valore di una scrittura che reagisca, nel suo diletto e nella sua intelligente estemporaneità, alla spinta al perfezionismo della società contemporanea; una scrittura che cioè capovolga l’obbligo di essere performanti che vige in ogni pixel del quadro che abbiamo di fronte.
Un esempio di non editing che viene dal passato, forse, può essere ritrovato nell’antologia di scritture irregolari Dal fondo. La poesia dei marginali (Savelli 1978 e Avagliano 2007, a cura di Carlo Bordini e Antonio Veneziani); o nella apparente o reale modalità di loose writing – uno stile senza stile, quasi gettato via, lasco, umbratile, non necessariamente “beat” – che si potrebbe rintracciare tanto nello stesso Carlo Bordini che nei versi di Rossella Or, e di autori fuorilegge come Victor Cavallo (https://t.ly/zX8mk).
Un po’ da tutti è stato comunque sottolineato che c’è una differenza sostanziale tra editing normante e lavoro di avvicinamento alla compiutezza testuale fatto da alcuni redattori anche di casi editrici presenti all’incontro. Ovvero tra la costrizione entro regole stilistiche mainstream da una parte e, dall’altra, il tentativo di elaborare insieme allo scrittore una forma funzionale al rispetto delle tante identità (dell’immaginario) dell’opera.
Un paragone è poi emerso: può essere avvicinata all’idea di scrittura non editata (=non particolarmente o niente affatto editata) anche una messa in rilievo della gestualità, in una sorta di atteggiamento orientale p. es. legato alle tecniche della pittura a inchiostro o dell’acquerello, il cui fulcro è l’immediatezza del movimento della mano, e l’irreversibilità (impossibilità di correzione) del risultato grafico. Al contrario, i colori a olio e altri strumenti pittorici occidentali prevedono tecniche di correzione anche piuttosto complesse, e ripensamenti, riscritture, palinsesti.
Qualcuno ha osservato che in alcuni autori – soprattutto giovani e rigorosissimi – operare sul proprio testo sembra talvolta rispondere a un’esigenza di corrispondenza a qualche (fantasma di) idea pregressa e ossessiva di opera “come dovrebbe essere”. Vero è che – all’opposto – le stesse piattaforme online, molte, chiedono (e quindi il contesto contemporaneo chiede) velocità di digitazione, assenza di revisione, “gesto definitivo”.
In ogni caso: ogni forma di spontaneità (bandito ovviamente lo spontaneismo) è appena un primo livello, in certi casi: la riflessione e l’editing possono cioè, in date esperienze, non essere affatto esclusi dal momento stesso della nascita dei testi. Più di un autore ha del resto notato che la stessa mera trascrizione di discorsi ascoltati, così come un certo balbettamento riportato nero su bianco, includono inevitabilmente una qualche distanza e una sorta di interposizione culturale, una intercapedine non evitabile, mentale e ambientale, di lavoro d’autore tra il dato, l’oggetto e il testo. Addirittura si può dire che pure l’affidarsi a registrazioni audio è un modo per essere sottoposti a filtri e riscritture, regole: i filtri e le regole del sistema di cattura, di registrazione.
Certo è che anche un lavoro di forte/cosciente controllo testuale può essere preintroiettato da parte dell’autore: la stessa scrittura orientale arriva alla perfezione del risultato dopo una lunga ortopedia del gesto.
In tutto ciò interviene come dato non secondario l’esserci o meno del fantasma della comunicabilità. La scrittura può essere considerata non necessariamente come strumento ma come materia: il testo è una materia sentimentale, intendendo per sentimento quell’insieme di strutture ereditate e risposte elettriche immediate (da considerare cioè in senso organicista) all’ambiente e alle interazioni circostanti. Ovviamente il testo va considerato un oggetto, si tratta di organizzare la materia come dovrebbe comparire davanti al lettore e al sé dell’autore.
Un esempio di scrittura più o meno non controllata, e proprio per questo perfettamente funzionante, è quella di Nuova Poesia Troll (https://t.ly/pmXwY e https://t.ly/hMQlO).
Ruolo della critica
È stato osservato che espressioni come “non intenzionalità”, “non assertività” e altre simili possono dare, all’esterno, a chi non si occupa di ricerca letteraria, un’apparenza di scritture fredde. (Tale apparenza era invero realtà esplicita e voluta, nel 2005, in una delle sezioni di RomaPoesia di quell’anno, svolta all’Auditorium di Roma).
È comunque vero che sta ai critici italiani, agli italianisti, produrre le categorie giuste, opportune; mentre in questi 20 anni – pur con l’attenzione che alcuni di loro hanno dedicato alla sperimentazione – non sembra che il mondo della critica abbia stabilito molti punti fermi e prodotto analisi e lessici nuovi. Non è dunque casuale che la gran parte se non la totalità delle espressioni teoriche sia venuta dagli stessi autori.
Luoghi della rete
È sorta una domanda sui luoghi effettivi concreti reali interni alla rete come luoghi della scrittura, al posto delle città o di altre fonti di ispirazione (imbarazzanti e bucoliche, perfino, in un alto numero di autori assertivi). Un contesto come quello della rete cambia gli impianti percettivi dei singoli e dei gruppi, e per alcuni è inevitabile partire da luoghi virtuali (p. es. le escape room, gli scambi in Twitch, gli ambienti di alcuni videogiochi eccetera) per produrre testualità anche non virtuali. Le stesse modalità di interazione dialogica cambiano all’interno dei forum e delle chat. Talvolta si stabilisce una sorta di coscienza collettiva nel trattare questo o quell’argomento. Allora: chi da tempo è dentro il sistema letterario può (potrebbe, potrebbe volere) cercare anche di uscirne per andare verso esperienze che non sono primariamente cartacee o di grezza traslazione dell’universo intellettuale lineare e cartaceo in flussi digitali. Nel mondo accademico e in generale nel sistema letterario, per dire, c’è molta chiusura verso la letteratura elettronica.
È non meno vero che una testualità tendenzialmente assertiva, solo fatta attraverso un vocabolario e un immaginario nato da/in/intorno a Minecraft Roblox Reddit Instagram et alia, non necessariamente ridefinisce le percezioni in senso sintonico e sincronico con il reale e con le linee di senso che alla testualità e alle arti integrate è richiesto di individuare, mettere in crisi e ridefinire. Può o potrebbe semplicemente essere un immaginario che strumentalizza quei social o altre aree della rete, e i loro linguaggi, per produrre pagine inconsistenti, egoriferite, non coscientemente kitsch. Una quantità di sottobosco letterario si tuffa volentieri in una intermedialità ingenua e deprimente, e arriva anche a esporre le proprie fantastiche realizzazioni in sedi un tempo prestigiose.
Frammenti
> Proviamo a rubare a Bruno Latour i suoi “quasi”: quasi-temi e quasi-forme possono attenuare la rigidità di alcune espressioni non solo critiche ma anche creative.
> Una sostanziale debolezza tematica (o proprio assenza di temi) sembra caratterizzare molta parte delle scritture mainstream, che sembrano funzionare come se si affidassero esclusivamente a un loro (sacrale?) sentimento della tradizione.
> È forse uno dei ruoli dello scrittore quello di prendere di necessità in carico (una riflessione sul)la specificità delle forme mediali. Come si ristrutturano le percezioni nella messa a tema della forma di vita delle nuove tecnologie? È importante la presa d’atto della centralità delle ricadute tecniche e percettive di elementi scientificamente osservabili, per esempio il collasso della struttura dialettica dell’esperienza (nel fatto, anche, che la rete lavora su piani non lineari).
> Vero è che la tecnologia svolge le proprie operazioni sempre nel segno della scrittura (codici, algoritmi, popup, istruzioni e suggerimenti a schermo).
> La de-dialettizzazione sembra comunque precedere il contesto digitale. Certo è che il modo in cui si pensa e si coordina la struttura artistica e di ricezione delle acquisizioni artistiche parrebbe mettere fuori l’elemento dialettico.
> Le cose si complicano e si fanno anche più inafferrabili dal punto di vista di una risposta politica quando, come vediamo, l’algoritmo ricodifica maschera e rimaschera le risposte che esso stesso di volta in volta dà, basandosi sulle nostre richieste e sulla sua interazione (e sulle sfumature delle interazioni) con noi.
Fisicizzazione di operazioni mentali
A proposito di fisicizzazione – concretizzazione in gesto – della conoscenza e delle occasioni di senso, è stato fatto l’esempio di Scosse, libro di poesie di Fabrizio Venerandi (https://t.ly/U4eHH): è stato soprattutto sottolineato che per prima cosa il libro non ha DRM, e poi che il codice è separato dal testo, in modo che il mescolamento delle materie testuali possa essere operato anche con pagine diverse. Ossia: chiunque può partire da un proprio testo o da qualsiasi altra fonte per avere i risultati di scompaginazione che Venerandi ottiene con le basi verbali implementate da lui.
In tutto ciò che è stato detto fin qui, le esperienze di Nanni Balestrini e le sue operazioni e sperimentazioni, da Tape Mark I a TristanOil, sono evidentemente non solo pionieristiche ma formanti.
Luoghi (fisici)
Si è parlato poi di un luogo fisico a Napoli, che si occupa di sperimentazione, il Riot studio (http://riotstudio.it e https://t.ly/ii0GE); e di Waste Kompost Radio (https://t.ly/czyRu e https://t.ly/MaM9r), un’esperienza di assorbimento e compostaggio di materiali sonori e verbali, in cui è verificabile direttamente quanto complesso sia intaccare la permanenza e prevalenza del significato e del senso negli oggetti del nostro campo percettivo e creativo.
Non ultimo, sempre in tema di luoghi liberi o liberati, si è fatto un riferimento pure allo spazio napoletano dell’ex Asilo Filangieri (https://exasilofilangieri.it). In coda all’ultima ora di dialoghi di ELR, è emersa soprattutto la coscienza – condivisa – della situazione non facile, un po’ in tutte le città, non solo italiane (p.es. Berlino), di avere a disposizione aree/zone (più o meno temporaneamente) autonome. Si è parlato di Lucca, anche, e di Torino: città, quest’ultima, che ospita esperienze diverse tra loro (e con sintonie con la ricerca letteraria da verificare) come come Lombroso 16 (https://lombroso16.it/), Casa della poesia (https://casadellapoesiatorino.it/), Periferia letteraria (https://periferialetteraria.org/) , Circolo dei lettori (https://circololettori.it/).
È stato fatto presente anche che possono esistere luoghi istituzionali che per paradosso offrono più plasticità elasticità spazi di quelli indipendenti. (Nota laterale: a Roma questo è estremamente difficile, e la mia opinione è che sia comuque preferibile rivolgersi a zone autonome, dove non entrano i reali padroni della città, ossia i neonazisti e i menscevichi).
Più di una critica è emersa nei confronti della situazione non facile a Napoli, che rischia (un po’ come gran parte dell’Italia, per altro) la trasformazione in una festa ininterrotta del turismo: gentrificazione, sterilizzazione, chiusura intellettuale. Napoli è stata definita anche una città fortemente “liricocentrica”.
Un’idea sorta proprio in conclusione di incontro è stata quella di una ipotetica mappatura dei luoghi della ricerca letteraria, musicale e artistica nelle varie città.